Leggere attentamente il foglietto illustrativo

Nel Febbraio del 2020 Giorgio di Palma è stato ospite per alcuni giorni della casa per la vita Artemide di Racale, struttura che ospita pazienti psichiatrici stabilizzati.
Invitato da Walter Spennato, sociologo e coordinatore della struttura, l’artista realizza un progetto ad hoc in collaborazione con gli ospiti.
“Leggere attentamente il foglietto illustrativo” è un viaggio intimo nella psiche, nelle gioie nelle paure non solo dell’autore ma di tutte le persone che hanno condiviso con lui l’esperienza. Un volume fatto di testi, fotografie e argilla.• Edizione unica in tiratura limitata di 200 esemplari firmati e numerati
• Testi: Giorgio di Palma e Walter Spennato
• Dimensioni: 15×21 cm.
• Numero pagine: 112
• Lingua: Italiano.
• Stampa: a colori su carta offset 110 grammi, copertina cartonata intagliata.
• Progetto Grafico: Studio Usopposto.
• Stampa: Italgrafica Oria.
• Editore: Autopubblicazione.
• Anno: Novembre 2021.Prezzo: 20 euro in studio oppure on line

Compralo Subito – Spedizione inclusa –



Capitolo undicesimo – Giorni 20, 21 – Organizzazione –

 

L’orologio suona le 14.14. Un anziano uomo picchetta blocchi di argilla a tempo.
Non fosse per lui tutto intorno ci sarebbe silenzio. Nella scuola di ceramica di Bechyne ognuno è immerso nei suoi gesti, ripetuti e abituali. Con me ci sono Sofie, Katie, Ellen e Yael. Manca Adam, ancora in ospedale. La luce è gialla e fuori dalla finistra la vita reale sembra non interessarci. Inizia così il trailer girato da Tomáš Hlaváček. Lui è il videomaker ufficiale del simposio. C’è poi Tomas il fotografo, Veronika la critica d’arte e Gabriel il tecnico. Eva è l’organizzatrice. Posso affermare senza dubbio che oggi il Simposio di Bechyne è la residenza più fresca, giovane ma anche professionale a cui abbia partecipato. Ognuno fa il suo lavoro senza esaltazioni. Nessuno è improvvisato ma tutti sanno quello che stanno facendo. Spero che continuino a farlo.

 

Capitolo decimo – Giorni 17,18,19 – Installazioni –

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Le residenze mi danno la possibilità di conoscere gente, luoghi e persone nuove. Mi permettono di lavorare a progetti site-specific, utilizzando l’argilla come principale mezzo espressivo.
A Bechyne saluto tutti come se ci vivessi da una vita. In questa piccola e ordinata cittadina della Boemia sembra tutto perfetto.
E’ tutto pulito, non ci sono sigarette per strada. Ci sono due poliziotti, sempre gli stessi. Attenzione al verde, quattro bar, il cinema e le terme. Tripadivisor consiglia di spostarsi di 6,8 km per mangiare. I menu, infatti, sono gli stessi in tutti e cinque i ristoranti: formaggio fritto o insalata greca se sei vegetariano.
La gente beve tanta birra e le file al supermercato sono sempre lunghe. Le giornate scorrono lente e dalle 19.00 diventa difficile trovare qualcosa aperto, fatta eccezione per il Sovà, il nostro bar che sa di umido.
Cosa farò a Bechyne?
Ho deciso di lavorare per strada e in posti pubblici, provare a scuotere la quotidianeità, restituire a questa cittadina qualcosa che gli appartiene. Pezzi di ceramica, le mie opere come diario di questa residenza. Da sfogliare quando e se qualcuno ne avrà voglia.

Capitolo nono – Giorni 15 e 16 – Le cotture

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E’ iniziato il conto alla rovescia. Manca poco più di una settimana alla fine del simposio e ho finito la produzione delle mie opere. Ho dovuto lottare come al solito con argille, smalti e temperature che non mi appartengono. Ho provato ad essere me stesso confrontandomi con il pezzo più grande mai realizzato e creando colori partendo da zero. Ho utilizzato argille che mi sono state sconsigliate dai tecnici e ho smaltato in maniera del tutto non convenzionale. Il risultato è affidato a un forno gigante che cuocerà prima il biscotto a 800 grandi e poi gli smalti a 1150 grandi. Fino alla fine non saprò se quello che ho fatto darà risultati soddisfacenti, ma poco importa.
Non penso di poter insegnare a qualcuno degli artisti che ho conosciuto finora come si fa ceramica, ma riesco sempre a leggere nei loro occhi la stima per il mio lavoro. Perché mi rispecchia in fondo. Perché sono imperfetto ma preciso, attento ma sbadato, scontato ma imprevedibile. Sono fermamente convinto delle mie idee ma rispetto quelle degli altri. Questo sono io e quelle che conoscete sono le mie ceramiche.
Le mie ceramiche non devono essere fiche.
Perchè non lo sono io, figuriamoci loro.
P.s. La foto è di Tomas ma non ricordo il cognome.

Capitolo ottavo – Giorni 13,14 – Rosmary

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Da settimane consumo la stessa colazione: formaggio e uova, pomodori e cetrioli. Poi riempio una tazza di caffe lunghissimo e lo bevo seduto ai tavoli esterni dell’Hotel.
La signora Rosmary è sempre lì, che fuma sigarette e beve teà.
Capelli bianchi e camicie colorate. Veniva a Bechyne ogni anno in vacanza con il marito. Poi lui è morto e Rosmary ha smesso di frequentare la cittadina.
Quest’anno, dopo dieci anni, è di nuovo qui; seduta a quel tavolino dell’Hotel Panska, bevendo teà, fumando sigarette e ricordando momenti condivisi con il marito.
La saluto, la scuola dista poco più di 2 km, ma prima di andarci decido di perdermi per le strade di Bechyne. In queste settimane ho imparato a conoscere abitudini e particolarità di questa cittadina. Ci sono un sacco di persone impiegate nella manutenzione del verde, tanti negozi che vendono finti animali imbalsamati, pochissimi ristoranti e tantissime persone con le stampelle. Ci sono le terme e un importante centro di riabilitazione.
Scendo giù per le scale che mi portano al fiume, attraverso il piccolo ponte di ferro e risalgo per una strada in salita. Piccole case lasciano il posto ad alberi giganti. Le cuffie suonano Nouveau Soleil degli M83. Sono sudato, la maglietta è completamente bagnata. Sono arrivato al grande ponte bianco, il punto panoramico più bello della zona. Mi fermo per una fotografia e riparto. Un cartello mi dice che mancano 2 km al rientro a Bechyne. Li percorro avvolto nei pensieri.
Ieri sera ho visto un bambino che giocava da solo nella piazza mentre il padre era da solo a bere birra nel bar.
Sono quasi arrivato. C’è il gladiator e poi la scuola.
E’ il momento di rimettersi al lavoro, è l’ultimo giorno di produzione.

Capitolo settimo – Giorni 11,12 – L’esplosione

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C’è un piccolo treno che da Bechyne porta a Tabor. Due piccoli vagoni gialli, non più di cento posti a sedere. Percorre lentamente paesaggi che ignoravo, sostando in minuscoli e impronunciabili paesini. Al mio fianco un uomo grasso in bermuda, di fronte a me il controllore, alle mie spalle una difficile esperienza da raccontare. Condividere delle settimane con degli artisti significa viverci: mangiare, bere, uscire, litigare e scherzare. Venti ore al giorno, per un mese.
Poi il botto.
“C’è stata un’esplosione, chiamate un dottore”.
Tomas era lì che riprendeva con la telecamera mentre Adam mischiava i componenti necessari all’esplosione.
Tomas corre e urla. Poi chiama l’ambulanza.
Sofie è la prima ad arrivare e a soccorrere Adam. Quando io e Luca arriviamo la scuola è piena di fumo. Adam ha il volto chino, coperto di sangue. Le mani sotto acqua corrente.
La squadra del simposio funziona alla perfezione. Lo soccorriamo per quello che sappiamo. Adam è cosciente. Si seguono le istruzioni e si aspetta l’ambulanza. Poi la polizia. Poi si aspettano i pompieri e poi gli artificieri. Si aspettano notizie dall’ospedale. Ore di sala operatoria e tanta speranza. Aspettiamo tutti qualche bella notizia. Forza Adam.
C’è un piccolo treno che da Bechyne porta a Tabor. Insieme a me ci sono Luca e Tomas. C’è un video che riprende Adam e l’accaduto. Tomas lo apre e decidiamo di fermarci poco prima dello scoppio. Il treno è fermo all’ennesima stazione. Poi riparte ma io rimango immobile a osservare paesaggi che ignoravo.

Capitolo sesto – Giorni 8,9,10 – 100 ants –

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Sono trascorsi quattro giorni dall’ultimo post. Mi piacerebbe scrivere di più, raccontarvi emozioni e sensazioni, accompagnarle a storie e mischiarle a pezzi di ceramica. Purtroppo ci riesco poco; per scrivere devo isolarmi, scavare nell’io per riscoprirmi attraverso gli altri. A Bechyne questo non accade.
Il tempo scorre veloce tra menù cortissimi e birre economiche. Il roaming ha fatto il resto. Quell’isolamento che cercavo e che mi faceva stare bene è stato ammazzato a colpi di giga. La libertà di navigare, effettuare e ricevere chiamate mi ha reso schiavo. Sono lontani i tempi del “non posso parlare, sono all’estero”. Sono tartassato da call center e da richieste assurde.
La disintossicazione sta per iniziare.
Modalità aereo attivata. Nuovi lavori e post in arrivo, in diretta da Bechyne.
Questa è “100 ants”, ceramica nera e filo al kantal. Il racconto animato della mia residenza attraverso gli episodi più significativi. Uno sketchbook tridimensionale, forse l’unica installazione che presenterò nel Museo.

Capitolo quinto – Giorni 6 e 7 – La scuola

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Realizzeremo le nostre opere all’interno della scuola di ceramica di Bechyne, una delle più antiche della repubblica ceca. Istituita nel 1884, la scuola è un grande edificio di tre piani che ospita al primo e al secondo piano laboratori di ceramica, al terzo quelli per la stampa e la pittura. Mi diverto a passeggiare lungo i corridoi tinteggiati d’avorio, tra orologi giganti, arredi e macchine del periodo sovietico. Le finestre del secondo piano si affacciano su un lago, regalando tramonti da incorniciare. Purtroppo le finestre delle nostre stanze di lavoro si affacciano tutte su un lungo muro alto più di due metri. Niente tramonti ma a favore abbiamo accesso diretto e semplice ai laboratori. Io sono nella seconda stanza a sinistra, insieme a Sofie a Yael, al nostro fianco Katie. Poco più’ lontana Ellen e nell’ultima stanza in fondo c’è Adam con le sue esplosioni.
Poco prima di iniziare a lavorare Gabriel, il tecnico, ci spiega che potremmo utilizzare cinque diversi tipi di argilla, alcuni degli otto forni e tutte le attrezzature. Purtroppo ci sono pochissimi smalti e nessun ingobbio, manca pure la spianatrice.
Prendo il primo sacco d’argilla di questa residenza. E’ tempo di cominciare…

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Capitolo quarto – Giorni 4 e 5 – Gli artisti

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In totale siamo in sei a partecipare al simposio di Bechyne. Di età e provenienza diversa, da cinque giorni dividiamo lo stesso hotel, condividiamo strumenti, tavoli cene e birre.
Ve li presento:
Ellen Kleckner (Stati Uniti). Lavora unendo la ceramica ad altri materiali. Le sue opere sembrano vicine al design ma spesso sono prive di qualsiasi funzione.
Segni particolari: Ha un sacco di maglie del ceramic center e da un momento all’altro potrebbe parlare ceco.
Sofie Norsteng (Norvegia). Una vecchia conoscenza, incontrata per la prima volta a Gmunden nel 2016. Realizza al colombino delle masse informi utilizzando differenti tipi di argilla che cuoce una volta sola a diverse temperature, per avere effetti cromatici vari.
Segni particolari: Ha una risata esplosiva che ogni volta mi fa spaventare. Si è comprata una stecca di sigarette appena arrivata a Praga.
Katie SleyMan (North Virginia – Stati Uniti). E’ la più giovane del gruppo. Realizza ceramiche delicatissime che rispecchiano perfettamente la sua personalità.
Segni particolari: E’ vegetariana, grande fan di madonna, dopo la terza birra gli potrebbe partire il karaoke.
Adam Zelezny (Repubblica Ceca). Alto, magro, capelli lunghi e occhiali rotondi. Con la dinamite fa esplodere palle di ceramica cruda all’interno di forme che si costruisce di volta in volta. E’ un lavoro quasi imprevedibile ma dal risultato veramente spettacolare. Vedete il video qui sotto e poi ne riparliamo.Segni particolari: Ogni tanto sparisce.
Yael Atzmony (Tel Aviv – Israele). E’ il grande nome del simposio. Docente di ceramica all’Università di Tel Aviv, ha esposto ovunque ed è una di quelle poche persone che possono essere definite artigiane/artiste. Sta lavorando a un progetto site-specific che non vi posso anticipare.
Segni particolari: Cambia spesso gli occhiali e crede tanto nel magnetismo….è adorabile.
E poi ci sono io… Giorgio di Palma. 68 kilogrammi, riesco a stare bene in gruppo e realizzo inutili ceramiche. Durante le residenze lavoro a progetti lasciandomi inspirare dal posto.
Segni particolari: Qui a Bechyne indosso calzini fluo e ho scoperto di avere una dote innata per il bowling.
Infine mi piacerebbe spendere due parole per Tomas Brabez. Il fotografo ufficiale del simposio, la scheggia impazzita. Da giorni dorme abusivamente nella mia stanza dopo aver chiuso in uno sgabuzzino tre turisti per 2 ore. Si è presentato dicendomi: Esistono due tipi di persone. Quelle che condividono lo spazzolino e quelle che non lo fanno. Tu a quale categoria appartieni?
Sono sicuro che ci regalerà delle sorprese.

Capitolo terzo – Giorno 3 – Il simposio –

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Il simposio di Bechyně è uno dei più antichi d’Europa. Iniziato nel 1966, con cadenza biennale, nel 2018 giunge alla sua ventottesima edizione. I partecipanti sono invitati direttamente, non ci sono candidature, e nel corso degli anni alcuni tra i più grandi maestri della ceramica hanno preso parte al simposio.
E’ organizzato alla perfezione e per la prima volta durante una residenza riceverò un salario che mi permetterà di coprire le spese di birra e sigarette.
Siamo stati invitati in sette, provenienti da diverse parti del mondo: Stati Uniti, Israele, Norvegia, Italia e Repubblica Ceca.
Come mai hanno invitato Giorgio di Palma?
Ci sono diverse figure collegate al simposio (curatori, artisti, direttori, musei e istituzioni) che propongono una lista di nomi a una giuria che poi decide chi invitare.
Il mio nome, con quello di altri 75 artisti, era stato suggerito da Eva Pelechova, artista di Praga da quest’anno direttrice del simposio, che ho conosciuto nel 2016 a Gmunden.
Ieri pomeriggio c’è stata la presentazione alla presenza di organizzatori e istituzioni locali. Agli artisti è stato riservato un posto a sedere al centro della una stanza di un museo, di fronte avevamo una grande tavola imbandita di cibo e al fianco tutte le autorità. Si è parlato tanto ma ho capito poco. C’era anche un cantante folk. All’inizio ho mangiato con imbarazzo, ma poi ho abbandonato l’imbarazzo per concentrarmi sul cibo e sui presenti. Domani ve li presento…

Capitolo secondo – Giorno 2 – La città

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Prima della partenza ho detto a tutti che andavo a Praga perché se avessi detto Bechyně nessuno avrebbe capito. Trascorse ventiquattro ore dal mio arrivo, ogni volta che dico Bechyně nessuno mi capisce, compresa la gente del posto.
L’errore sta proprio nella pronuncia che dovrebbe essere Bechigne e non Bechine, ma manca un suono tra la c e la h che non riesco a scrivere, figuriamoci a pronunciare.
Fonetica a parte ci sono tante cose che ancora devo scoprire di questa piccola cittadina della repubblica ceca.
Grazie a google già sapevo che qui ci vivono circa cinquemila persone, che ci sono delle terme, un fiume, un castello, un lago, un sacco di verde e un ponte bianco ma non ho ancora avuto modo di vederli, nonostante sia uscito presto questa mattina armato di macchina fotografica.
Ho incrociato alcune delle cinquemila persone che ci vivono ma delle terme, del castello e del lago nessuna traccia. Ho intravisto immerso nel verde un ponte bianco che non era per niente fotogenico. Per ora accontentiamoci delle foto di google che, nella parte a destra della foto più grande, ci regalano anche uno scorcio dell’ hotel Panskà, la mia casa per le prossime settimane.
Ho la stanza numero 221, una doppia con due letti singoli, due sedie, due lampade, due calzatoi, due lampadari, un bagno, una televisione e una finestra che si affaccia su un cortile privato ma che mi permette di vedere la pioggia cadere. Tutto l’albergo ha la moquette azzurra e per raggiungere la stanza 221 bisogna salire 2 piani e camminare un corridoio lungo dove sembra di essere in un traghetto.

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Capitolo primo – Giorno 1 – Vitejte V Bechini –

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Ho chiuso l’ombrellone in anticipo, scrollandomi di dosso sabbia mista a impegni.
Ho affidato a trenitalia le coordinate della mia nuova destinazione. Due bus, un regionale e un frecciabianca mi hanno allontanato da Grottaglie e spostato a nord.
Prima tappa Modena, per il pit-stop più lungo e importante della mia carriera, nove ore e due grandi installazioni.
Poi l’aeroporto di Bologna, con sedie di ferro rosso che si materializzano come un incubo sotto i miei occhi. Altra nottata insonne e partenza per Praga passando per Francoforte.
Mentre vi chiederete il perché di tutto questo io mi chiedo come mai sono l’unico che indossa pantaloncini e maglietta a maniche corte. Controllo il meteo e leggo la sentenza.
Chiudete anche voi gli ombrelloni, aprite gli ombrelli. Sto tornando con nuovi capitoli. Ci separano 26 gradi e 1610 kilometri.
Vitejte V Bechini.

Capitolo ventidue – Giorno 28 – Il video

Capitolo ventuno – Giorno 27 – Il saluto –

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Saluto la cameriera, quella del ristorante che con la convinzione che mi faccia piacere da un paio di giorni mi porta sempre caffè solubile e latte in polvere. Ho appena fatto colazione, fuori pioviggina e alla reception mi offrono un ombrello che rifiuto. La porta dello studio dista non più di 20 metri. Potrei raggiungerla facilmente bagnandomi appena, aprire i forni e scoprire il risultato di questa residenza.
Decido di fare prima un’ultima passeggiata a Fuping. Ripercorro tutte le strade che ho vissuto per un mese. Rincontro i due vecchietti ai quali chiesi una foto appena arrivato, rivedo il luna park abbandonato, mi perdo nel giardino del Presidente, ballo per un’ultima volta con le signore del parco, mi compro dei pomodorini e mi fermo su una panchina a mangiarli.
Ha smesso di piovere e Micah P. Hinson ha lasciato spazio a Homesick dei Kings of Convinience.
Non riesco a trattenere le lacrime al solo pensiero che tutto questo da domani sarà solo un ricordo. Ma devo andare avanti, mi rialzo e mi lascio la panchina alle spalle. E’ il momento di andare in studio. Chiedo all’interprete di tradurmi poche parole in cinese.
Le imparo a memoria e le uso per salutare e ringraziare una a una tutte le persone che mi hanno accompagnato e con cui ho collaborato per un mese. Li vedo sorridere, commuoversi e a volte persino abbracciarmi. Perché per i Cinesi un abbraccio è qualcosa di veramente speciale.
Sto per aprire i forni, ma sono convinto che il risultato di questa residenza non sia al suo interno, ma fuori. Nei loro sinceri abbracci, in quel caffè solubile, nel latte in polvere, su quella panchina, nel ballo con le signore.
Se devo essere sincero le uniche opere che ho realizzato in questo mese non sono in ceramica, ma hanno a che fare con la ceramica.
Le avete letto in questi ventuno capitoli e le vedrete nel video di domani. E’ per questo che oggi non metterò le foto dei lavori finiti. Quelli li vedrete alla fine del video e nell’ultimo post di questo capitolo residenze. Perché senza il blog e senza il video sarebbero solo foto di opere di ceramica con buffi titoli.
Ma dietro quei buffi titoli c’è un mondo, ci sono delle persone e delle storie. Ci sono la Cina, voi, un sacco di piatti di noodles e ci sono io.
Io che, spero di essere riuscito a raccontarli.

Capitolo venti – Giorno 26 – I colori

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Alcune volte mi è capitato di ricevere richieste e preventivi con allegato il Pantone del colore. Chi non conosce la materia non sa che “colorare” la ceramica non è semplice. Allo stesso modo con cui esistono i pastelli, gli acquarelli, le tempere e tanto altro, in ceramica esistono le vernici, gli ingobbi, gli smalti, i pigmenti, ecc., che possono essere applicati in modi diversi con risultati differenti. Io utilizzo gli smalti per la produzione degli oggetti e gli ingobbi per i personaggi.
Ma se può sembrare buffa l’idea del Pantone, non è oggi molto lontana dalla realtà perché ci sono posti dove basta recarti con un codice univoco e ti viene venduto il “colore” che cerchi.
Per questo ancora più buffo di chi richiede il Pantone è chi ostenta conoscenza dicendo il tuo azzurro o il tuo rosso. Perché quelle tinte non sono mie, ma della colorobia.
Miei sono i colori che provo a realizzare quando sono all’estero, magari in Cina, perché in questi posti non ci sono le colorobie a pararmi il culo e ogni opera è il risultato di test e improvvisati tentativi.
Perché qui si cuoce a 1300 gradi e a questa temperatura la brillantezza che caratterizza i miei oggetti è quasi irrangiungibile. Non si sono gli stessi smalti. Come faccio?
Cerco la strada più corta per arrivare al medesimo risultato, affidando al mio navigatore il compito di allungare di migliaia di minuti il tragitto, perché quello che a Grottaglie faccio in un’ora qui sono costretto a farlo in minimo cinque ore.
Ma non c’è emozione più bella di quella di aprire il forno e vedere cosa è successo, cosa ho combinato. L’imprevedibilità di un risultato che spero di aver raggiunto.
Lo scoprirò domani perché oggi ho “colorato” tutte le opere.
Ho deciso di conservare per tutte la loro autenticità, affidando a smalti e tecniche tradizionali la parte realizzata dall’artigiano locale, e di mantenere il mio stile nel mio intervento. Mi sono “inventato” i colori per i palloncini e creato gli ingobbi per i personaggi. Ho utilizzato i loro smalti, sperando che creino gli stessi loro effetti. Ho spruzzato, immerso e decorato tutto.
Si parte, 1230 gradi in 9 ore.
A domani.

Capitolo diciannove – Giorno 25 – Il biscotto –

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Non avendo mai studiato ceramica molte delle mie conoscenze le ho apprese viaggiando, grazie alle numerose residenze d’artista fatte negli anni. Perché se a Grottaglie, grazie a mio padre, ho imparato come fare ceramica, con la nostra argilla e alle nostre temperature è quasi impossibile realizzare diversi tipi di manufatti.
Questo perché la ceramica è terra, ma anche riflesso di quella terra in cui nasce e si sviluppa. Racchiude storia, cultura, clima e tradizione.
A Grottaglie si è sempre fatta terracotta a bassa temperatura, cotta al massimo a 960°. Questo perché ci troviamo nel sud Italia, dove a zero gradi muoriamo di freddo noi, non le nostre ceramiche. Se Grottaglie fosse stata in Cina avremmo trovato sicuramente il modo di fare ceramiche a 1300 gradi, perché in Cina saremmo morti di freddo noi e le nostre ceramiche. La terra ci avrebbe offerto la soluzione, avremmo perso i colori splendidi che ci invidiano ma avremmo guadagnato effetti e resistenza che invidiamo.
La cosa complessa è riuscire a portare Grottaglie altrove. Perché, seppur completamente scollegato dalla tradizionale ceramica di Grottaglie, vorrei che nelle mie opere si leggesse non solo il nome ma anche l’età e la provenienza.
Per questo ogni cottura che faccio all’estero è un dilemma. Perché vorrei riuscire a fare quello che faccio a Grottaglie in qualsiasi altra parte del mondo. Perchè quando mi parlano di riduzione, ossidazione, 1300 gradi, fratte e coni, io annuisco senza in realtà capire di cosa la gente mi parli. So quello che voglio, e fortunatamente lo riesco ad ottenere. Conosco i risultati, non i procedimenti.
Ed eccomi qui pronto ad affidare a tre forni differenti le sorti di questa residenza. Due forni a gas cuoceranno in riduzione e ossidazione e un piccolo forno elettrico ospiterà palloncini e altri oggetti. Alcune opere saranno realizzate in monocottura altre avranno bisogno degli smalti che, naturalmente, qui sono tutto un altro mondo.

Capitolo diciotto – Giorno 24 – Il cibo

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Avete presente quei rutti di glutammato misti a salsa di soia che vi accompagnano a casa dopo aver mangiato cinese?
Bene, lasciateli pure in Italia, insieme al gelato fritto, il riso alla cantonese e il biscotto della felicità.
L’errore più grande commesso dai cinesi emigrati è, infatti, stato quello di adattare il loro menù a quello occidentale, generando sapori e ricette inesistenti nel paese asiatico.
E’ necessario, tuttavia, fare due grandi divisioni per due macro aree geografiche: nord e sud.
Il tipo di clima e le coltivazioni hanno incoronato il riso alimento sovrano del sud e il frumento re del nord.
Vivendo a Fuping, sono di conseguenza in una zona ad alto rischio carboidrati. Fortunatamente la cucina cinese, quella tradizionale, prevede un miscuglio di sapori e alimenti che permettono che ogni piatto sia perfettamente bilanciato: perfetta combinazione di dolce, salato, piccante e amaro. Tutto è cucinato al vapore, bollito o soffritto. Ci sono tantissime verdure, soia e tofu; i formaggi sono inesistenti, il consumo di carne e pesce è limitato.
I dolci sono rarissimi e per questo ogni colazione è come un pranzo e ogni pranzo è come una cena.
Ma procediamo con ordine. Vi descrivo la mia giornata alimentare tipo, simile a quella di molti cinesi, postandovi le foto di quello che ho mangiato ieri.
Colazione, ore 7.30.
cap18-1webVivendo in un hotel la mia colazione tipica è a buffet. Mangio fagiolini fritti, funghi e lattuga in padella, insalata bollita, cavoli lessi, uovo sodo, spaghetti di soia, ecc. Tutto piccante.
Molti miei amici, che non vivono in hotel, consumano una puccia con verdure e carne. Anche questa piccante.
Pranzo, ore 12.00
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Per pranzo, in questa parte della Cina, si mangiano i noodles, una specie di spaghetti freschi cucinati in tremila varianti, anche al brodo, quasi sempre piccanti. In alternativa ci sono i ravioli, cotti al vapore o bolliti, ripieni di cavolo e soia, o di verdure o di carne. Anche i ravioli sono accompagnati da una salsa piccante.
Cena, ore 18.00.
Praticamante come il pranzo, ma di solito io ordino verdure, soia, tofu cucinati in mille modi diversi.
Ad accompagnare tutti i piatti su richiesta c’è quella che pensavo essere una mozzarella ma che ho scoperto essere il mantou, il panino cotto al vapore.
La frutta è sacra ed è trattata con una cura e un amore indescrivibile. Ogni frutto è confezionato singolarmente e per strada puoi comprare anche fette di ananas, anguria, arancia e via dicendo.
Passiamo ora alle bevande. I cinesi, che durante il giorno consumano molto tea verde e acqua calda, durante i pasti non bevono preferendo consumare delle zuppe calde oppure l’acqua di cottura dei noodles.
Particolare è anche il modo di stare a tavola. Di solito mangiano su delle tavole rotonde con al centro un disco rotante dove vengono posizionate le pietanze, tutte e sempre condivise. Qualsiasi tipo di cibo non deve assolutamente essere toccato con le mani, ma solo con le bacchette perché le forchette e i coltelli non esistono. Non bevendo durante i pasti, a tavola non troverete i bicchieri ma delle coppette dove versare l’acqua calda o di cottura.
Un discorso a parte va fatto per gli alcolici. Tutte le birre sono state adattate al gusto cinese creando ibridi che raggiungo al massimo i 3,5 gradi da consumare a temperatura ambiente.
Il superalcolico che va per la maggiore è il Baijiu, una acquavite molto, molto potente prodotta dalla fermentazione del sorgo.
I bar non esistono e li trovi solo da un paio di anni nelle più grandi città. Ci sono tanti, tantissimi ristoranti dove puoi mangiare un piatto abbondante (come in foto) con meno di un euro. Il cibo di strada è frequentissimo e nei mercati puoi trovare quelle particolarità raccapriccianti che siamo abituati a vedere in foto. Ma sono particolarità che variano da regione a regione, come lo possono essere da noi le lumache, la carne di cavallo o il coniglio. A proposito di carne, i cani li ho sempre visti sia al guinzaglio che randagi. Ci sono però delle zone rurali della Cina dove viene ancora mangiata la carne di cane.

Capitolo diciassette – Giorni 22, 23 – Appunti –

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Oggi, con la realizzazione delle ultime opere, è terminata la fase di produzione. Le ultime due collaborazioni le ho fatte rispettivamente con 胡光东 e 陈顺娥.
胡光东 è un ragazzo di circa venticinque anni. Riesce a dire tre parole contate in inglese, ma questo ha permesso che diventassimo subito amici. L’idea del progetto mi è venuta proprio guardando le sue opere. Modella vecchietti o monaci, comunque figure umane con una perfezione e un’accuratezza esemplare. Non usa stampi, ma ogni corpo, volto, piega del vestito è fatta a mano. Ho pensato che sarebbe stato bello affiancare i miei personaggi ai suoi. Così è successo e insieme abbiamo creato l’opera che intitolerò “Foto di famiglia”.
陈顺娥, invece, è una signora che dedica tutte le giornate di lavoro alla realizzazione di vassoi partendo da lastre.
Con un oggetto simile non potevo fare tantissimo e per questo mi sono limitato a poggiarci sopra alcuni oggetti che mi hanno accompagnato in questa residenza: cellulare, pacco di fiammiferi, videocamera e colori.
In conclusione, ho realizzato in tutto dodici opere in collaborazione con gli artigiani della fabbrica e una da solo: lo sketchbook che è solito accompagnare i miei viaggi.
Ad essere onesto durante tutta  l’esperienza cinese il mio solito quaderno nero è stato sostituito da un blocco a pagine gialle invecchiate.
Ho deciso di riprodurre proprio questo in ceramica, insieme a dei pastelli, e di riportarvi sopra la sintesi del progetto.
Penso che mi potrà servire per l’installazione permanete nel Museo.

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Capitolo sedici – Giorni 20, 21 – Input –

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Trascorro giorni tranquilli lasciando scandire al cibo il ritmo delle ore. Ad accompagnarmi in questa avventura le solite canzoni in loop, installate in maniera permanente in un hard disk che non riempirò mai. Le ascolto solo quando scrivo perché quando sono in studio o mentre passeggio preferisco concentrarmi su quello che ascolto e vedo. Così mentre il mio hard disk rimane vuoto, la mia mente si riempie di input. Questa esperienza mi sta offrendo talmente tanti stimoli che controllarli è difficile.
Scrivo, mangio, viaggio, cammino per ore, scatto foto e riprendo video. In tutto questo riesco anche a produrre ceramiche.
Le ultime mi divertono un sacco e non vedo l’ora di vederle finalizzate. Le ho realizzate in collaborazione con 王芳侠 e 程春妮.
王芳侠 ha una quarantina di anni e modella animali o paesaggi pieni di fiori. Le ho chiesto di creare il corpo di un suo personaggio mentre io ne modellavo la testa. Poi lei ha preso quest’ibrido e lo riempito di fiori rendendo l’effetto molto kitsch. Osservando il risultato non posso smettere di ridere perché, pur avendo pensato ad una volpe, mi ricorda molto Noia, la Volpina.
程春妮, invece, tutto il giorno stampa delle specie di animali a contenitori. Anche con lei ho deciso di creare un antropomorfo partendo dall’animale da lei stampato su quale ho applicato la testa di un orso.
Siamo arrivati a dieci opere, i giorni stringono e mi mancano ancora due collaborazioni.

Capitolo quindici – Giorni 18,19 – Quello dei palloncini

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Ho vissuto per anni con l’ansia addosso, con la paura di essere identificato come quello dei palloncini.
In sette anni ho realizzato così tanti oggetti, progetti e altorilievi che la tracciabilità univoca della mia produzione mi ha sempre un po’ infastidito.
Poi sono arrivati i furbacchioni che, tradendo la mia fiducia, hanno copiato in maniera spudorata palloncini e altri best sellers. Così da quello dei palloncini sono diventato quello dei palloncini di Otranto, Gallipoli, Lecce e non so quali altri posti.
Ho capito che essere quello dei palloncini non era spiacevole tanto quanto essere la brutta copia di me stesso.
Ho cercato invano riparo nella legge fino a capire che alla fine la miglior risposta è giocare a carte scoperte.
Oggi io, ovvero Giorgio di Palma, o se volete quello dei palloncini, sono in Cina e mi è stato chiesto di fare un’installazione permanente sulla facciata del Museo Italiano della Ceramica a Fuping.
Lo farò con i palloncini perché nel bene e nel male sono diventati uno dei miei oggetti simbolo.
Li realizzerò in collaborazione con i Cinesi che tanto ci spaventato e che tanto vanno in culo al made in Italy.
Lo farò con loro perché qui a Fuping non hanno mai avuto paura nel rivelarmi trucchi e segreti.
Lo farò perché di loro mi fido e perché sono prima di tutto artigiani e maestri della ceramica, dopo commercianti. Provate a girare in Puglia, nell’amato Salento, e portatemi il numero di artigiani e maestri degni di essere considerati tali, prima che commercianti. Degni di essere considerati signori prima che ceramisti.
La verità è una. Non ci rispettiamo l’uno con l’altro.
Abbiamo svenduto una storia ceramica centenaria per riempire di souvenir trulli e vie del centro.
Facendoci la gara al prezzo, copiandoci idee, abbiamo fatto i cinesi dando poi la colpa ai cinesi.
E penso a tutto questo mentre osservo tornire il Maestro 曾春国. Ho appena svelato e rivelato lui i miei trucchi e con un amore incredibile ha iniziato a forgiare sette splendidi palloncini.
Il senso delle collaborazioni è questo, lo scambio; non commerciale ma esperienziale. Quando ho deciso di fare questo progetto sapevo che avrei dato e avrei ricevuto. Lo sto facendo senza paura e con tanta fiducia.
Con il Maestro 曾春国 ci incontriamo ogni mattina a colazione, ci scambiamo un sorriso e un sincero saluto. E mi bastano il suo sorriso e  l’amore che ci sta mettendo nel creare i palloncini per convincermi della scelta fatta.

Capitolo quattordici – Giorni 16,17 – Poche parole –

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La produzione all’interno del Ceramic Art Village è continua. Ogni giorno si realizzano nuovi pezzi delle solite opere, si smalta, si sforna e si accendono tutti e cinque i forni. A controllare che tutte le attività siano svolte nel modo corretto ci pensa un manager, affiancato da un mentore che conteggia i manufatti forgiati da ogni singolo artigiano.
In questo schema ben strutturato provo a inserirmi quanto posso, indossando colori sgargianti e sorseggiando tea verde, evitando sopratutto di essere invadente. Ho conquistato la fiducia della fabbrica offrendo saluti e pomodorini. Tuttavia per collaborare con l’artigiano che scelgo devo prima chiedere al manager che, se approva, riferisce all’interessato e al mentore. Ognuno di loro, infatti, mi dedica del tempo che varia dalla mezz’ora all’intera giornata di lavoro, andando a rallentare questa produzione a ciclo continuo. Fortunatamente il manager è molto tranquillo e ha sempre acconsentito alle mie richieste, permettendomi di contare oggi già sette opere realizzate.
La mia produzione si distingue in quella degli oggetti e in quella degli animali antropomorfi, entrambe imprescindibili ma che difficilmente riesco a far convivere. Questo progetto rende possibile che questo accada perché è sulla base della specializzazione dei singoli maestri che decido il da farsi. Finora ho prodotto cinque opere con animali e due con oggetti. Queste ultime le ho fatte in collaborazione con 王星星,  葛星, 党欣欣,  赵小磊, 郭路杰.
党欣欣
 realizza sempre posaceneri partendo da lastre, piegandole e ripiegandole su loro stesse.
王星星, 赵小磊, 郭路杰 realizzano bicchieri, tazze, e coppe al tornio; 葛星, invece, rifinisce.
Tutti loro sono ragazzi con problemi di udito, anzi tutti sordomuti tranne una ragazzina dolcissima che parla bene sia la lingua dei segni che il cinese. Ma questi sono dettagli superflui perché con loro la dote innata italiana del gesticolare è tornata più utile che con chiunque altro, anche se dovete sapere che la lingua dei segni non è universale, ogni nazione ha la sua.
Con tutti questi ragazzi ho deciso di giocare sul contenitore e sul contenuto. Prenderò  alcune tazze “sbagliate” e le ospiterò in una scatola di cartone che sto realizzando in ceramica mentre il posacenere ospiterà sigarette, fiammiferi e rifiuti vari, tra cui semi di zucca.
Staremo a vedere.

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Capitolo tredici – Giorno 15 – Nuove collaborazioni –

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Le botteghe ceramiche di Grottaglie sono solitamente composte da singoli che riescono da soli a svolgere tutte le mansioni. Nelle più grandi abbiamo il torniante, il decoratore, chi smalta e chi modella. Qui a Fuping, invece, ognuno ha la sua mansione. Ma quando scrivo mansione non mi riferisco al lavoro generico del torniante o del decoratore. Qui c’è chi fa le coppette, chi i vasi, chi rade, chi i vasi giganti, chi decora fiori, chi uccelli e chi paesaggi. C’è poi chi inforna a biscotto, chi inforna solo a smalto, chi smalta a spruzzo e chi a immersione. Per ogni attività, per ogni prodotto c’è una persona specifica. Ognuno è il maestro di una cosa soltanto. Tra questi l’ultimo arrivato è un ragazzo sordomuto che fa solo coppette. Tantissime coppette fatte a mano, non al tornio. Centinaia e centinaia. Non posso chiamarlo maestro quindi lo chiamerò 寇晓明. Vi ho già parlato di lui, è il ragazzo con la smisurata passione per le gif animate che incontro ogni sera nella hall dell’hotel, contento della connessione wifi gratuita. Da poco siamo anche amici su wechat e ogni tanto mi manda frasi in cinese che mi sforzo di tradurre tramite google. Anche con lui c’è stata una collaborazione. Mi ha donato cinque delle sue tazzine per creare una piccola opera.
雪娥 invece è una donna di una cinquantina d’anni che modella a mano animali abbelliti da fiori e arzigogoli vari. Le ho chiesto di modellarmene uno e di poter lavorare al suo fianco per poter fare qualcosa insieme. E’ stata entusiasta. Abbiamo trascorso ore incredibili, senza scambiarci una parola ma annuendo nell’osservare quello che stavamo creando.
E’ bello osservare come a tutti, finora, faccia piacere evadere da quello cui sono abituati a fare. E’ uno degli obiettivi fondamentali del mio progetto, più importante delle opere che stiamo realizzando e che alla fine andranno ad abbellire il museo. Di quelle poco mi interessa. In tutte le residenze in cui finora sono stato invitato ho fatto ho sempre lasciato qualcosa in più. Spero di riuscirci anche qui.

Capitolo dodici – Giorno 14 – Curiosità

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C’è una fase della vita, intorno ai quattro anni, in cui scopriamo il mondo e cerchiamo di comprenderlo a raffiche di “perché”.
Beh, io qui in Cina sto vivendo un periodo simile, con la differenza che il limite linguistico non mi concede la possibilità di alcun perché.
Osservo, accetto e cerco di memorizzare.
In poche settimane ho annotato così tante curiosità che solo selezionarle mi mette in difficoltà.
Ve ne elencherò alcune:

  • In Cina tutti i pantaloni dei bambini hanno un buco che permette loro di fare cacca e pipì. Non usano il pannolino e quando gli scappa sono pronti a fare i bisogni. La cosa divertente è che non si sporcano, infatti ogni volta i genitori sanno quando è il momento e gli fanno evacuare.
  • Una cosa che mi ha subito colpito è il rumore che i cinesi fanno nei gesti quotidiani. Quando mangiano il “risucchio” è normale, sia che si tratti di brodo che di una semplice mela. Anche lo starnuto è sonoramente invasivo, così come lo scatarrarsi. Dopo un po’ ti abitui e non vi nascondo che mi sono ben ambientato.
  • In Cina le macchine hanno, forse per legge forse per abitudine, la precedenza sui pedoni e bisogna fare particolare attenzione quando si attraversa, anche con il verde. Altra particolarità è quella che i pedoni non passano mai sopra i tombini, un gesto scaramantico frequentissimo.
  • Se avete bisogno di comprare un deodorante, scordatevelo; in Cina non si usa. Eppure non ho mai sentito un cinese puzzare.
  • Contare con le mani è completamente differente. Noi usiamo due mani mentre loro ne utilizzano solo una. Fino al cinque non ci sono problemi ma dal sei al dieci sono cazzi. Il sei è fatto con mignolo e pollice. Il nostro “che vuoi” è il loro sette. Pollice e indice indicano otto, l’indice piegato invece il nove. La croce o il pugno chiuso, infine, rappresentano il dieci. Quando vai a pagare un macello, poiché devi prima capire il numero che hanno fatto con le mani, poi convertire da yuan in euro e da euro in lire.
  • Qui le discoteche sono una cosa obsoleta. La gente balla per strada. A tutte le ore è possibile incontrare gruppi di gente che balla. A seconda dell’eta’ la musica cambia, anche se a me sembra quasi sempre uguale.
  • La posizione comoda per un cinese è davvero particolare. Quando aspettano il bus, quando controllano il cellulare o quando si fumano una sigaretta i cinesi si accovacciano. Lo fanno tutti, i bambini, i cuochi, i poliziotti, ecc.
  • Il numero di fuochi d’artificio esplosi ogni giorno è altissimo, circa quindici venti raffiche. Li utilizzano per festeggiare un matrimonio oppure per commemorare un defunto.
  • C’è una quantità esorbitante di gente che pulisce le strade. Qui non vedrete mai per strada una cacca di cane o una cicca di sigaretta. Inoltre, il camion della spazzatura è accompagnato da una musica dolcissima, tipo carillon.
  • E per ultimo vi lascio con una chicca: il cappello verde. In Cina chi è stato lasciato o tradito dalla ragazza/moglie per umiliazione indossa un berretto verde. E’ un segno di resa, fallimento. E con l’imbarazzo è tutto. A domani.

Capitolo undici – Giorno 13 – Il Museo e la tradizione –

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In Cina, da quello che mi è sembrato di capire, quasi tutti i terreni sono di proprietà dello Stato che, se ne fai richiesta, te li fitta per cinquant’anni. Se durante questo periodo dimostri di aver fatto qualcosa di veramente rilevante allora ne diventi legittimo proprietario. Forse proprio per questa ragione c’è un gran fermento edilizio in tutta la Cina e forse anche per questo all’interno del Ceramic Art Village è un continuo costruire, inaugurare, ospitare. Un vera e propria macchina culturale imponente che in soli sedici anni ha fatto sì che Fuping diventasse il riferimento culturale per la ceramica Asiatica. Dal 2011 ad oggi sono stati ospitati artisti da tutto il mondo che, grazie alle opere realizzate in sito, hanno permesso l’inaugurazione di tredici imponenti musei tutti divisi per area geografica, tranne uno. Il FLICAM (Fuping international Ceramic Museum) ospita le opere vincitrici dei vari concorsi organizzati dal simposio degli editori più una parte dedicata alla ceramica tradizionale, ovvero alla Folk art.
L’arte folclorista è caratterizzata da personaggi a tutto tondo rappresentati durante scene di vita quotidiana, quella della Cina degli anni Sessanta-Settanta. Tutte le sculture presenti nel Museo sono recenti ed ancora oggi si continuano a produrre questi personaggi. Nel Ceramic Art Village a realizzarli è 苏辉, che per comodità possiamo continuare a chiamare 苏辉.
孟聪珍, invece, significa intelligente e preziosa. Lei decora e graffisce, ma in modo diverso da come facciamo il graffito a Grottaglie. I pezzi, infatti, da crudi vengono spruzzati di smalto, su quale si va a togliere il non necessario andando così a creare un bel contrasto tra lucido e opaco. Naturalmente il pezzo va cotto una sola volta e le quantità da spruzzare sono misteri che mi stanno rivelando ma che naturalmente non sto capendo.
Le mie nuove collaborazioni sono state con 苏辉 e con 孟聪珍, ma anche di quanto fatto con loro non vi mostrerò niente.
Vi posso solo dire che mentre 苏辉 si è impegnato un sacco, 孟聪珍 è stata davvero intelligente e preziosa. Immaginavo decori complessi e draghi graffiti come nella foto in basso, invece, dopo circa 4 minuti aveva finito.
E che aveva finito l’ho capito subito, senza bisogno dell’interprete. Quello che invece mi ha spiegato l’interprete è stato che lo strato dello smalto che avevo spruzzato era troppo sottile e che non poteva fare altro.

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Capitolo decimo – Giorni 11,12 – Nuova Era

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Il mio progetto prevede la realizzazione ogni giorno di un pezzo differente, prodotto in collaborazione con un artigiano diverso.
Un totale di una quindicina di opere, tante quante sono le persone che condividono con me lo spazio di lavoro.
Cercherò di presentarvele volta per volta, dedicandogli lo spazio che meritano, lasciando loro la libertà di esprimersi al meglio ma cercando allo stesso tempo di ritagliarmi il mio angolino di mondo.
Cominciamo da 张新社.
张 è il cognome e non significa niente, mentre  新社 è il nome, ovvero Nuova Era.
Probabilmente, come mi riferisce Sunny, nacque nel periodo in cui venne fondata la repubblica indipendente cinese (1949), quindi gli venne dato quel nome. Dall’aspetto sembra che abbia una sessantina di anni e questo mi lascia pensare che la mia interprete abbia ragione. Occupa il posto di fronte al mio e realizza uccelli appollaiati su rami intrecciati.
Vista la difficoltà dei soggetti, in una giornata di lavoro riesce a realizzare una o al massimo due opere. Non usa stampi ma è tutto fatto a mano. Ogni singola piuma di ogni ogni singolo uccello, così come ogni ramo di ogni tronco, è realizzata a con una accuratezza estrema, mai vista prima d’ora. Durante la giornata di lavoro fuma poco e beve un sacco di teà. Non vi nascondo che il dover realizzare un’opera con lui mi ha creato non poco imbarazzo. E’ una persona adulta e temevo di essere considerato l’artista di turno, dove lui si fa il culo tutto il giorno fino a quando arrivo io che in tre minuti ho finito.
In effetti è andata così. Lui ha lavorato duro 445 minuti per offrirmi oggi pomeriggio la sua parte completa. Io ho impiegato 71 minuti per completare il tutto. Fortunatamente quando si è avvicinato per vedere il risultato finale, l’ho visto sorridere e scattare una foto. Penso che gli sia piaciuto. Non vi posterò foto della collaborazione, per ora solo i suoi lavori tipici.

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Capitolo nono – Giorno 10 – La guerra –

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Una serie innumerevole di casualità ha fatto in modo che nascessi e crescessi a Grottaglie, un tranquillo paese della Puglia, penisola di quella che è la penisola italiana. Pur se orgoglioso delle mie origini non mi sono mai considerato grottagliese o italiano, illudendomi di avere una visione più globale del mondo.
Eppure ieri ho notato di essermi affacciato sempre e solo da una stessa finestra, con splendida vista ma parziale.
Da quella finestra ho visto amici alzare la testa per cercare improbabili scie chimiche e altri nascondersi per paura di colpi di vento. Io, invece, me ne sono sempre stato tranquillamente affacciato.
Fino a ieri, quando all’improvviso è suonato il campanello e aprendo la porta mi sono reso conto che alle mie spalle, dietro la porta, c’è tutto un altro mondo, forse migliore, forse peggiore, sicuramente differente.
Un mondo dove la guerra esiste davvero, non solo in foto, e dove Trump e Kim Jon non sono buffe gif da condividere su facebook. Un mondo dove la volontà altrui compromette le vite degli altri.
Il 22 Aprile si sarebbe dovuta inaugurare a Seul una delle mostre più importanti della mia vita. Organizzata dal MIC (museo internazionale della ceramica in Faenza) la mostra collettiva avrebbe offerto, attraverso le opere mie e di altri 21 artisti che stimo, una sintesi della ceramica italiana attraverso quattro generazioni a confronto. Avevo prenotato il volo ed ero pronto a partire.
Purtroppo le parole di Trump e i missili di Kim Jon hanno impedito che questo avvenisse. La mostra è stata per ora sospesa/annullata e le opere sono bloccate in dogana a Shangai. Tutti i voli per la Corea sono stati cancellati e trecento euro di biglietto buttati nello sciacquone.
Ci sono rimasto male, ma più che altro ci sono rimasto male per il fatto di esserci rimasto male.
Mi spiego meglio.
Nel mio mondo, quello che vedo affacciato dalla mia finestra, questa è una storia di merda.
Ma c’è un mondo dove non c’è solo l’eventualità della guerra, un parte del mondo dove la guerra esiste davvero. Dove a essere bloccate alla dogana o alla frontiera non sono le opere, ma le persone. Dove non hai neanche il tempo di startene tranquillamente alla finestra, o di pensare alle scie chimiche, o di nasconderti. E quel mondo è vicino, proprio alle mie spalle.
Cosa dovrei fare?
Andare in studio e fare quello che sono abituato a fare. Sperando che dietro la porta ci sia qualcuno che abbia la volontà di migliorare il mondo, non solo il suo.

Capitolo ottavo – Giorno 9 – Il progetto –

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Ogni volta che faccio delle residenze mi ritrovo nella medesima situazione. Forni giganti, smalti particolari e argille insolite mi mettono di fronte a vecchi dubbi.
Dovrei fare cose grandi e diverse?
Ci penso spesso ma poi mi viene in mente un proverbio che mi è stato insegnato:
“Se non riesci a fare una cosa bene falla grande, se non riesci a farla grande fanne tante, se non riesci a farne tante falla in blu”.
In fondo quello che riesco a far bene è riuscire ad essere me stesso, attraverso inutili oggetti e malinconici personaggi.
Perché dovrei fare altro?
Per me la ceramica non è un mezzo per esprimere virtuosismi tecnici o sperimentazioni particolari, ma un mezzo di comunicazione al pari della parola o dei video. Per questo non mi definiscono un ceramista, perché io uso l’argilla per raccontare storie. Ogni opera che realizzo si porta dietro un racconto e ogni progetto delle esperienze.
Per me le residenze sono vere possibilità di sperimentazione non tecnologica ma culturale. Mi piace vivere i luoghi, conoscerne i cibi, la gente e le abitudini per poi traferirli in maniera indelebile su pezzi di ceramica.
E’ quello che ho sempre fatto e che farò anche qui a Fuping.
Tutte le opere che realizzerò nella fabbrica saranno collaborazioni con quanti condividono con me lo spazio di lavoro. Ogni giorno realizzerò un pezzo differente con ciascun operaio. Cercherò di far convivere le loro abitudini con le mie inquietudini; la loro millenaria tradizione con la mia inconsapevole contemporaneità, i miei oggetti, i miei personaggi con le loro opere.
Romperò la loro quotidiana routine cercando di farne parte, non ci scambieremo una parola ma insieme scriveremo la storia di questa mia residenza a Fuping.

Capitolo settimo – Giorno 8 – Piccole cose –

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E’ passata una settimana da quando sono arrivato a Fuping. Conosco gente, mangio in tutti i tipi di ristoranti e ho anche imparato a dire tre parole: ciao, grazie e panino. Quando parlo con i cinesi le ripeto in continuazione, anche se a dire il vero la maggior parte del tempo la passo ad annuire, magari ad ascoltare o sovrappensiero.
Penso a dove sta andando il tipo con quella specie di ape car, a cosa ci sia scritto sulle insegne o a quanti giorni di lavoro costi quel cellulare. Mi diverte un sacco immaginare le storie dei camerieri, i dialoghi tra i banchettanti, o le vite degli operai.
Conosco tutti e quindici gli operai che condividono con me lo spazio di lavoro.
Ogni mattina scendo in studio e li saluto personalmente. Molti sono sordomuti ma non fa differenza, tanto il mio saluto è uguale per tutti.
Appena entro c’è il torniante, poi gli studenti, poi i cinque giovani tornianti che fanno tazze e coppette, uno di loro rifinisce solamente. Poi c’è una ragazza che fa posaceneri, una signora che stampa e due che modellano. Dietro di loro due uomini che graffiscono.
Poi ci sono io.
Di fronte a me un ragazzo che modella personaggi tradizionali in pose diverse e uno che fa monaci. Poi c’è un ragazzo che fa tazzine a mano. Centinaia di tazzine. Migliaia di tazzine. Ripete lo stesso movimento ogni giorno dell’anno. E’ il ragazzo nella foto in alto.
Qui non ci sono sabato, domeniche e festività particolari; si lavora sempre. Alle otto si timbra il cartellino tramite scannerizzazione della retina e si va avanti fino alle dodici. Pausa pranzo e si riparte fino alle diciassette.
Ora dopo ora, giorno dopo giorno, vedo l’immagine del ragazzo scomparire dietro una montagna di tazzine. Eppure lo vedo felice, vedo tutti loro felici. Non c’è bisogno di parlare la stessa lingua per saper leggere la felicità.
Il ragazzo delle tazzine, ad esempio, è sordomuto ma amante delle gif animate. Il poter avere un cellullare ultima generazione e il wifi lo rende felice.
Il ragazzo fotografato nel capitolo due, invece, durante il giorno trasporta argilla e di sera prende bici, casse e microfono e si mette a cantare per strada. Non chiede soldi. E’ solo felice se canta.
E io sono felice di aver pensato a loro per il mio progetto.

Capitolo sesto – Giorni 6, 7 – Gli amici –

E’ arrivato il momento di dedicare un capitolo ai miei amici/colleghi/collaboratori qui a Fuping, se lo meritano.
Lo farò in ordine d’altezza perché qui i centimetri fanno la differenza. L’ho capito appena arrivato in aeroporto quando, nel bagno maschile, mi sono dovuto piegare per fare pipì negli urinatoi attaccati alla parete.
Ma ora lasciamo il meritato spazio ai protagonisti di questo post:
Jacob Meudt
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Provenienza: Stati Uniti
E’ un gigante che ha lavorato per quindici anni a Los Angeles come fotografo per il cinema e per la televisione. Poi un giorno, sette anni fa, ha lasciato lavoro, casa e tutto e si è iscritto a un corso di ceramica. Fa delle sculture grandi e irregolari e da un più di un anno è in giro per il mondo ospite di residenze e simposi. Le lunghe chiacchierate con lui sono tra le cose più piacevoli che ho fatto finora  a Fuping.
Particolarità: Mischia sempre la grappa alla coca cola ed è fissato con il dentista.

Juan Sangilcap6web2Proveninza: Spagna.
Professore di ceramica ha viaggiato e lavorato a lungo con artigiani locali di tutto il mondo. Qui a Fuping è per me come una guida perché sin da subito mi ha indirizzato su dove andare, cosa fare, le curiosità e tutto quanto necessitavo.
Curiosità:  Mi ha regalato un cappotto grigio immenso ma caldissimo che mi è già tornato utile in un paio di occasioni. E’ quello che indossava lui in questa foto.

Vilma Villaverdecap6web1Provenienza: Argentina
E’ un’icona della ceramica contemporanea mondiale. Ha vinto un sacco di premi e ricevuto riconoscimenti in tutto il mondo. Per il Museo di Fuping ha curato diversi padiglioni ed è il rappresentante sudamericano per l’accademia internazionale di ceramica.  Nelle sue sculture più popolari (grandi fino a due metri) tazze da bagno, bidè e lavandini si sostituiscono a parti del corpo.
Particolarità: Riesce a infondere una tranquillità incredibile, non mangia piccante.

Jacob e Juan sono a Fuping perché invitati da Vilma, a sua volta invitata per curare installazioni all’esterno dei Musei della Spagna e dell’America. Purtroppo domani partiranno tutti, infatti, dopo aver trascorso più di un mese a Fuping si stanno trasferendo per un nuovo simposio in una cittadina che mi hanno ripetuto quattro volte ma che non ricordo.
Fortunatamente non sono solo. Qui ci sono anche 杨小雪 e 傅佳睿 che per comodità si fanno chiamare Sunny e Fairy.

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杨小雪, per comodità Sunny, è l’interprete ufficiale del Fuping Pottery art village. Il suo nome significa “luce attraverso il petto”, ovvero persona positiva. In realtà, sembrerà strano, ma c’è una reale corrispondenza tra i nomi e le persone. Sunny è positiva, sempre disponibile, parla inglese e, anche se molto spesso non ci capiamo, è la mia ancora di salvezza. Oltre questo è stata la prima persona al mondo che mi ha fatto i complimenti per come mi vesto.
傅佳睿, per comodità Fairy, è invece una studentessa di ceramica. Qui a Fuping, ogni anno ad Aprile, vengono inviati dei ragazzi per preparare la loro tesi di laurea. Ce ne sono sette ma lei è l’unica che parla inglese. E’ la mia interfaccia con i mezzi di tecnologia cinesi. Mi ha fatto installare wechat (un programma per i messaggi tipo what’s up) e mi fa fare shopping online tramite il suo conto. Finora grazie a lei ho potuto comprare pennelli, matite, una specie di bottiglia di grappa e mangiare le patatine fritte.

Capitolo cinque – Giorno 5 – Il grande muro –

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A ricevere il Fule Prize 2016 siamo stati in sei.
Io, Martin Harman (UK) e Valerie Ceulemans (BE) abbiamo vinto solo la residenza.
Cat Traen (USA), Ana-Maria Asan (BE) e Beate Pfefferkorn (Ger) oltre la residenza hanno ricevuto anche un premio in denaro.
Il tempo limite stabilito per “riscuotere” il premio è di due anni. Per questo sapevo già in partenza che le possibilità di incontrarmi con qualcuno di loro sarebbero state poche.
Ero già pronto a trascorrere un mese da solo, in un posto sconosciuto, senza parlare e soprattutto con la rete internet bloccata, o meglio limitata.
Per arrivare alle vostre bacheche, infatti, i miei post devono aggirare un macello di ostacoli, a cominciare dalle sei ore di fuso orario. Questo significa che quello che state leggendo adesso in realtà è stato scritto nel tardo pomeriggio o in serata. Tutto dipende dalla connessione. Perché qui c’è internet, ma i siti che usiamo noi (facebook, instagram, google, vimeo, what’s up, youtube, wordpress) sono tutti bloccati. E dovete sapere che se google non funziona allora lo stesso vale per chrome e gmail. Se wordpress è filtrato il mio sito è oscurato e lo stesso vale per i video.
Tutto questo avviene perché lo Stato censura questi siti ed è impossibile accedervi a meno che non si installi un programma vpn che aggiri il Grande Muro. In pratica ogni volta che ti connetti dalla Cina con il vpn risulta che sei connesso da qualsiasi altra parte del mondo. Ad esempio io adesso sono connesso da Macao, che non so dove sia.
La mia fortuna è stata quella di aver installato questo programma prima di partire per la Cina perché per quanto vi possa sembrare un tipo alternativo io non sono ancora pronto a stare un mese senza internet. Il fatto di poter aggiornare il blog, di controllare facebook e sapere che c’è qualcuno pronto a condividere questa esperienza con me, mi fa sentire meno solo.
In Cina, a Macao, in Corea o dovunque il Vpn decida di portarmi.
Come sospettavo, infatti, nessuno degli artisti che ha vinto la residenza è qui a Fuping.
Ci siete voi e poi ci sono Sunny, Fery, Jacob, Juan e Vilma. E poi tanti altri. Ma di tutti loro vi parlerò domani.

Capitolo quarto – Giorno 4 – La fabbrica –

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Pensate alla Cina, alle fabbriche, agli operari e alle condizioni di lavoro. Pensate al suo clima e a tutto quello cui siete abituati a pensare. Bene, ora dimenticatevelo.
Perchè a Fuping ho dovuto riconsiderare un buon 52,3% degli sterotipi che avevo sulla Cina. Non so se questa sia un’eccezione,  ma nel Ceramic Art Village, dove sono impiegate circa 400 persone (di cui circa il 61% inutili), tutto sembra funzionare. Certo i tempi sono lenti, ma le cose funzionano. Importante è non chiedersi perchè e come, altrimenti ti incarti brutto.
La fabbrica è il vero motore trainante di tutto questo sistema e senza di lei qui non ci sarebbero Musei, concorsi, convegni, quattrocento impiegati circa, residenze e post dal leggere alle 14.30 del pomeriggio.
E’ grandissima ed è divisa in più sezioni. La prima parte è dedicata alla produzione di artigianato artistico di altissima qualità. Mi riferisco a piatti, sculture, vasi, tazze da tea e piatti. Tutto fatto a mano con tecniche a volte sconosciute a volte semplicemente interpretrate con maestria eccezionale. C’è chi decora, chi lavora al tornio, chi rifila, chi realizza sculture proprie in pezzi unici e chi graffisce. A proposito, il graffito lo fanno direttamente sul prodotto finito attraverso dei bisturi sullo smalto cotto. Sono quasi del tutto inesistenti gli stampi. In questa parte della fabbrica c’è il mio spazio di lavoro.
C’è poi un cappannone dedicato alle cotture. Ci sono tanti forni. Alcuni grandissimi, mai visti così grandi. Alti quasi 5 metri e larghi 4. Poi ci sono quelli per la cottura con la soda e quelli piu’ “normali” ma grandi il doppio del mio. Tutto si cuoce a minimo 1200 gradi.
Dopo questa stanza c’è la stanza degli smalti dove vengono immersi o fatti a spruzzo gli oggetti. Tutto sempre a mano, uno alla volta.
Questo capannone porta ad un altro dove è immagazzinato il biscotto. Migliaia e migliaia di pezzi di qualità altissima. Uscendo da qui si giunge ad un immensa stanza dove mi hanno detto che il maestro del tornio realizza da solo dei vasi giganti, alti circa 3 metri. Io non l’ho incontrato, ma vi posso garantire che esiste perchè ho visto i vasi e capito come li realizza. Uscendo da qui si entra nella parte dove viene prodotta la ceramica industriale. Mattoni, tegole e laterizi. Qui c’è un forno a tunnel e tantissimo altro.
Tutti questi edifici sono circondati all’esterno da ceramiche finite, a loro volta circondate dai Musei, dai ristoranti, i dormitori, l’Hotel, le sale congressi, le sale per i workshops.
Questa è la fabbrica del Ceramic art village di Fuping e da domani si inizia a lavorare.

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Capitolo Terzo – Giorno III – Fuping –

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A Fuping ci sono stato lo scorso anno insieme a Valeria, la mia dolce metà. Selezionato per un concorso importante venimmo in Cina con la scusa di assistere alla premiazione finale, alle conferenze e sopratutto per visitare posti che forse mai nella vita avremmo rivisto.  Con vitto e alloggio pagato e con nessuna speranza di ricevere premi partimmo per la Cina. Arrivammo a Fuping, dove con grande stupore il giorno della premiazione mi proclamarono vincitore del Fule Prize, ovvero il premio residenza.
Inutile dire che né io né Valeria capimmo il mio nome pronunciato in Cinese, così per circa un’ora mi limitai a stringere delle mani a caso. Ma l’importante non è sapere quando io abbia capito,  ma il fatto che quel giorno ho ricevuto un attestato che oggi, a 4 mesi di distanza, mi ha permesso di tornare a  Fuping per trascorrere un mese nel Ceramic Art Village.
Se provate a digitare Fuping su google, il motore di ricerca restituirà solo immagini di cachi e qualche foto del Museo della Ceramica. Non so il perché dei cachi ma so che c’è una grandissima fabbrica di ceramica.
Questa in collaborazione con lo Stato ha aperto il Ceramic Art Village, all’ interno del quale ci sono Musei (ogni Nazione, o quasi tutte, ha un proprio padiglione), hotel, ristoranti, stanze per fare wokshops e tante sale congressi. Per farla breve è  il più grande spazio dedicato alla ceramica che io abbia mai visto. Per ora non posso ancora aggiungere molto, perché vorrei cercare di conoscere la gente, le loro abitudini, gli spazi e le curiosità.
Anzi un’altra cosa posso aggiungerla: Fuping ha dato i natali all’attuale presidente cinese che ha fatto costruire qui un immenso giardino dedicandolo al padre. Questo giardino è attaccato alla fabbrica e naturalmente non si vede dalla mia stanza. La mia stanza si affaccia su una grande ciminiera tutta in mattoncini. La mia stanza è al secondo piano dell’albergo. Ho il wifi che prende a tratti, due letti da una piazza e mezza, due sedie in stile orientale, due tazze per il tea e due spazzolini, due paia di pantofole, due asciugamani e due asciugacapelli. Uno era qui e uno me lo sono portato da Grottaglie.

Capitolo secondo – Giorno 2 – il viaggio

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La mia destinazione è Fuping, una piccola città cinese di ottocentomila abitanti nella provincia dello Shaanxi Per raggiungerla ho deciso di affidarmi al percorso più contorto, quello che in ventiquattro ore mi costringerà a prendere due aerei, quattro metro, uno shuttle, un passaggio e un treno superveloce. Tutto perfettamente incastrato e calcolato al minuto.
Partenza da Brindisi alle 7.00, ripartenza da Roma alle 14.25 con arrivo a Pechino alle 6.12 della mattina seguente; poi navetta e metro per raggiungere la stazione dei treni di Pechino per poi prendere il treno superveloce fino a Weinan dove ci sarà qualcuno ad aspettarmi per portarmi a Fuping.
Tutto perfetto, almeno fino all’arrivo a Brindisi, quando al momento dell’imbarco del trolley mi è stato comunicato che ero Overbooking sul volo Roma-Pechino.
Che cosa è l’overbooking?
In pratica le compagnie aeree calcolano che su ogni volo ci sono in media dieci persone che non partono, quindi vendono circa dieci biglietti in più di quanti sono effettivamente i posti disponibili nell’aereo.
Così, nel caso in cui fossero tutti presenti, corri il rischio che il volo sia overbooking, cioè hai il biglietto ma non parti, o meglio inizi a bestemmiare e rimani in aeroporto fino a quando non risolvono o ti infilano nel prossimo volo.
Inutile specificare che questo avrebbe creato una reazione a catena che partendo da Brindisi si sarebbe propagata fino a Fuping ma fortunatamente Mamma Alitalia ha deciso di risparmiarmi collocandomi in Business, tra un cinese e un leccese di origine moldave, tra prosecchi e sedili reclinabili.
Arrivato a Pechino sono riuscito a prendere il treno fino a Weinan, percorrendo 1100 kilometri in quattro ore, accompagnato da uno strano jet leg e da paesaggi confusi da colpi di sonno e nebbia irreale.
Immense costruzioni in cantiere si alternano a cantieri ormai abbandonati. Distese di campi lunghe all’infinito in cui si intravede ogni tanto un minuscolo uomo, poi tanto cielo grigio, stazioni nuovissime e controllori che ti controllano a raffica il biglietto fino ad arrivare a destinazione.
Scendo dal treno, scendo per la scala mobile e ad attendermi ci sono Sunny e Mr. Jo.
Sunny è l’interprete che stenta a capire il mio inglese e Mr. Jo l’autista che non capisce nulla di quello che dico. Con loro arrivo a Fuping o meglio torno a Fuping.
Perché si tratta di un ritorno….

Capitolo Primo – Giorno 1 – Trolley –

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7 minuti e 34 secondi.
E’ questo il tempo che ho impiegato per preparare il mio ultimo bagaglio. Un record che mi fa sentire imbattibile, regalandomi l’illusione di essere il più pronto a partire.
Perché se ancora confondo il partire con il fuggire, il lavoro con la vacanza e le emozioni con le sensazioni oramai non sbaglio più un bagaglio.
Ricordo ancora la mia prima residenza a Neumunster. Era il 2013. Affidai a una valigia di cartone il compito di trasportare sogni e speranze. Ci andavano così stretti che alla fine si ruppe il manico.
Sono passati 5 anni da allora, le paure hanno lasciato spazio alla consapevolezza e uno sgarrupato trolley ha preso il posto di quella valigia di cartone.
Al suo interno ci ho messo poche cose, ma sotto le ruote mi trascino qualcosa di troppo simile a merda per essere terra.
L’aeroporto di Brindisi è ormai pieno di zolle ed è giunto il momento di salutare e imbarcare il trolley.
Destinazione Cina. Una nuova residenza mi aspetta, anche se non so cosa aspettarmi. Partenza oggi e arrivo tra 8165 chilometri.
Buon viaggio.

Capitolo terzo – Giorni 4-21 – Il video

Capitolo secondo – Giorni 2 e 3 – Arrivo –

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Sono finalmente giunto a destinazione. Ad attendermi c’è Gianluca, con un’auto piena di lattine di coca cola e un foulard azzurro al collo. Mi accompagna e mi tiene compagnia per i primi due giorni ad Albissola.
Si scrive Albissola oppure Albisola? Non ho ancora capito.
So solo che per la prima volta nella mia vita sto vivendo a meno di un kilometro di distanza dal mare. Faccio colazione come un turista a Capri e mi siedo sui ciottoli a disegnare. Poi quando mi accorgo che la scomodità ha trafitto le mie chiappe comincio a girare per il paese cercando un’idea o un qualcosa che possa ispirarmi per i prossimi giorni. Poi torno a casa.
Abito al piano di sopra di una storica bottega ceramica, in un appartamento dalle tinte giallastre e col tetto spiovente. Ha un gran finestrone con un parapetto talmente alto che mi permette di vedere solo di fronte e un mobilio anni settanta. C’è un sacco di arredo e mi affascinano molto il bollitore blu e il frigo marrone con solo due calamite appiccicate, anche loro marroni: una civetta e un colombo.   E’ una casa comoda che, fino all’arrivo del nuovo artista in residenza, ospiterà solo il sottoscritto che sua volta divide con una luce accesa di notte, un pugno di insonni zanzare e una linea wi-fi che va e viene.

Capitolo primo – Giorno 1 – La partenza –

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Rieccomi qui, lontano trecentoquarantuno giorni dall’ultimo post. Di nuovo in aeroporto, nuovamente pronto a ripartire per raccontarmi.
In attesa del volo FR8702, che da Bari mi condurrà a Genova, consumo cornetto, cappuccino, caffè, quattro euro e venti centesimi seduto in un hamburgeria con affaccio sul parcheggio. M’interrogo sul da farsi e sull’eventualità di rispolverare 29 giorni, il contenitore delle mie residenze artistiche.
Non ne sono convinto. Negli anni ho visto crescere il progetto tanto da decidere di trasformare il virtuale in cartaceo.
Grazie al libro “29 giorni” ho girato la Puglia e parte dell’Italia presentandomi. Ho conosciuto gente e venduto copie. Ho fatto tutto quello che sognavo e non potrei chiedere di più. Il progetto mi ha soddisfatto. Perché continuare?
Alzo la testa. Sono confuso. Gli aeroporti hanno lo stesso sapore dell’Ikea. Manca poco al check-in e non so se questo sarà l’unico capitolo della nuova residenza. Lo scoprirò domani o nei prossimi giorni. Ora è il momento di andare in bagno, ho un posto riservato tra un portarotoli e uno scopino, tra un Lillangen e un Enudden.

Capitolo ventesimo – Giorno 29 – La fine –

 

Incapace di esprimere verbalmente i miei sentimenti affido a pezzi d’argilla il compito di tradurre le mie emozioni e le mie sensazioni. Ho spesso paura di essere frainteso e di non riuscire a replicare a chi vorrebbe comprendere il mio mondo, una realtà bellissima ma al tempo stesso melanconica, fatta di cose inutili e animali fantastici, risultato di esperienze vissute in modo troppo programmato quanto completamente casuale.
Quella di Gmunden è stata un’esperienza incredibile, in cui ho affidato tutto al percorso e niente al risultato finale. Ho cercato di trasmettere questa volontà nei vari capitoli di questo blog e in tutte le opere realizzate. Ho aggiunto un video, quello in alto, forse difficilmente comprensibile, forse troppo semplice.
Sono così arrivato davanti alla giuria con tante cose da mostrare, poche parole da dire e una totale paura del giudizio finale. Un gruppo di addetti ai lavori, cinque esperti del settore, ha selezionato le opere che gireranno nei vari Musei per i prossimi due anni e quella che entrerà a far parte della collezione permanente di Gmunden.
La giuria era composta da Claudia Casali, direttrice del MIC in Faenza, Stijn Yperman, docente di ceramica ed ex partecipante al Simposio, Gabi Dewald, giornalista ed ex redattrice di Keramik Magazine, Frank Luise, artista e docente di ceramica all’accademia di Linz e Jindra Vikova, affermata artista ceca.
Abbiamo discusso a lungo sulle mie opere e ho ascoltato le loro considerazioni. Qualcuno mi ha chiesto di dover scegliere tra gli oggetti e gli altorilievi, di dover scegliere tra due cose che per molti non dialogano tra loro. Avrei voluto spiegare che anche se non dialogano quelle parti hanno un bisogno tremendo di esistere, di venir fuori al momento opportuno. Non ho detto niente, ho voluto che fossero loro a decidere. Tra la giuria c’è chi ha lottato con me, chi si è emozionato e chi sicuramente non ho convinto.
Alla fine sono stati selezionati tutti gli oggetti dell’installazione Pumpkin in dead: sedia, posacenere, martello, estintore, scopa e video. La tanica, invece, entrerà a far parte della collezione permanente.
Non sono contento per le 6 opere selezionate e nemmeno triste per i 6 altorilievi esclusi. Questo progetto puntava al percorso e non al risultato finale. Un percorso che ho condiviso con persone incredibili. Quando ripenserò a Gmunden e al Simposio non mi verranno in mente né le mie opere e nemmeno quelle di artisti interessantissimi. Penserò a quanto detto, vissuto, sofferto e riso con chi ho avuto il piacere di conoscere e incontrare in questa piccola e ordinatissima cittadina. Una cittadina che non si ricorderà del mio passaggio, ma che ha segnato un passaggio importante della mia vita.
Bye Bye Gmunden.

Capitolo diciannovesimo – Giorno 28 – Gli oggetti –

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Quelli che vedrete di seguito sono una serie di oggetti in dimensione reale, ritrovati all’interno della fabbrica e riprodotti in ceramica senza utilizzare stampi. Sono opere che ho realizzato modellando a mano differenti argille cotte in seguito a varie temperature. Sono una sedia, sopravvissuta a sfavorevoli pronostici e crolli, una tanica, modellata senza alcun criterio tecnico, un martello distrutto e poi ricostruito, un posacenere testimone delle mie troppe sigarette, una scopa cotta per ben quattro volte e un estintore non fotografato. Questi sono gli ultimi lavori che ho realizzato durante il Simposio di Gmunden e insieme agli altri sono stati mostrati alla giuria che ha selezionato ed espresso il suo parere. Domani vi dirò come è andata, le mie ultime impressioni e considerazioni.

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Capitolo diciottesimo – Giorno 27 – Io e Doro –

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Non sono quasi mai riuscito a collaborare. Forse perché non mi piace il 74% delle cose che mi circonda, forse perché è solo quando realizzo le mie opere che sono pienamente me stesso, cosa che mi rende nudo di fronte al mondo. Ma a Gmunden sono cresciuto. Ho visto le ceramiche di Doro e me ne sono innamorato. Per questo ho deciso di voler realizzare alcune opere con lei. Una seria di personaggi fantastici, modellati unendo argille diverse, cotti a 1060° e ricotti con gli ossidi. Questo è risultato della nostra collaborazione. Purtroppo mancano cinque personaggi che sono stati regalati e donati.

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Capitolo diciassettesimo – Giorni 25 e 26 – Ritorno al futuro –

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Sono in aeroporto e mentre attendo il volo che mi riporterà in Italia mi accorgo del ritardo di una settimana sugli aggiornamenti. Ho lasciato Gmunden, le mie opere, gli amici e un conto non saldato nella reception dell’hotel. Nei prossimi capitoli proverò a descrivervi gli ultimi giorni di quella che è stata una delle esperienze più incredibili della mia vita. Ho ideato il mio progetto prevedendo la realizzazione di opere che restituissero il mio ricordo alla città; oggetti raccolti durante il percorso dall’hotel e poi riprodotti in fabbrica. Ci ho creduto, ho lavorato e sono spesso inciampato. Con una serenità indescrivibile ho deciso di andare avanti cambiando strada. Ho smesso di progettare, calcolare e aggiornare il blog. Ho capito di aver trascorso così tanto tempo nell’idea del dover lasciare qualcosa che ho dimenticato troppe cose per strada. Ho abbandonato qualsiasi aspettativa finale e ho vissuto ogni giorno al massimo.
Ho speso 200 euro per scappare da Gmunden e tornare in taxi, bevuto 3000 birre e consumato kilogrammi di argilla. Ho fumato il triplo del normale e sono crollato nel caldo di una camera di essiccazione. Ho dormito mediamente tre ore a giorno, mangiato kilogrammi di formaggi e spezie, sono rimasto bloccato in ascensore e ho ballato la break dance in posti improbabili. Ho fatto talmente tante cose che un giorno ho smesso di pensare in italiano, anzi ho smesso di pensare del tutto. Sono così arrivato alla fine. Ho presentato le opere alla giuria e cercato di spiegare quanti meno perché possibili. Nei prossimi paragrafi l’elenco di tutto quanto realizzato a Gmunden. Cominciamo con gli altorilievi. Ne ho realizzati in tutto sei, appiccicando su vecchi materiali ritrovati in fabbrica alcuni momenti della mia residenza. Purtroppo ne sono riuscito a fotografare quattro. Quello in alto si intitola “can you take us a picture?”, gli altri sono scritti sotto.

iwouldliketobelikeyouweb“I would like to be like you”, 30×25 cm.

 canyoupassmethecheese“Can you pass me the cheese?”, 40×40 cm
Iforgotthekey“I forgot the key”, 40×26 cm.

Capitolo sedicesimo – Giorni 23 e 24 – Giorgio Terracotta è tornato

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Il tempo stringe e le cose da fare aumentano. Bisogna prenotare i forni per le ultime cotture, ripulire gli spazi di lavoro, preparare la mostra e decidere i pezzi da esibire. Rispettando il mio stile sarò uno degli ultimi a terminare, abituato a rimandare a domani quello che avrei potuto fare ieri. Devo ancora aspettare opere che escono dal forno, smaltarle, dare il platino e preparare le cornici per i miei altorilievi. A tutto questo aggiungete la mia nuova collaborazione con Dorothea Klug. Cliccate qui per vedere le sue fantastiche opere. Fatelo veramente, ne vale la pena.
Insieme abbiamo deciso di realizzare una serie di personaggi mischiando stili e argille. Ci saranno uomini tartaruga, cigni nudi, delfini inghiottiti, conigli con i guantoni, lucertole volanti e tanto altro. Dovrete aspettare la prossima infornata. A proposito di forni, lunga vita all’apertura frontale e alla bassa temperatura.
Giorgio Terracotta is back.

Capitolo quindicesimo – Giorni 21 e 22 – Reality

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Grazie al Simposio di Gmunden mi trovo a condividere con altre nove persone che neanche conoscevo settimane intensissime. Come in un reality show ci siamo ritrovati a vivere, lavorare, pranzare e cenare in una fabbrica per venti ore al giorno, tempo necessario per far nascere e scatenare tutto quello che i peggiori grandi fratello ci hanno abituato ad amare. Dopo tre settimane iniziano a comparire simpatie, amicizie, litigi, pettegolezzi e turni per la cucina su tavolette magnetiche. Io non cucino, mangio tanto e penso di essere ingrassato un paio di kilogrammi. Colpa della birra, delle poche ore di sonno e delle tante d’insonnia. Quello che ho provato a fare qui a Gmunden è stato raccontare il mio percorso, affidandolo agli oggetti e agli altorilievi il compito di narrare tutte le mie avventure. Con l’esplosione molti altorilievi sono andati distrutti ma fortunatamente sono riuscito a recuperarli. Una miscela magica fatta di aceto, zucchero e argilla liquida mi ha permesso di unirli e cuocerli a 1160 gradi. La tenuta è stata strepitosa e ho trascorso una giornata intera a dipingere volti e vestiti. Per concluderli mi mancano due cotture, ho ancora tempo a disposizione e un sacco di sonno.

Capitolo quattordicesimo – Giorno 20 – La sedia –

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Vi presento la sedia, unica sopravissuta alle esplosioni dei giorni scorsi. L’ho realizzata la scorsa settimana e già da allora  ho compreso che non avevo una soluzione per spostarla. Da allora è ingonbrantemente al mio fianco a tempo indeterminato.
Ridotto lo spazio di lavoro ho aumentato il tempo di produzione. Ieri non appena risalito nel laboratorio ho trovato una piacevole sorpresa: Andrea mi ha fatto trovare un cilindro d’argilla da pressa svuotato e mi ha detto che avrei dovuto ricominciare dall’estintore.
Siamo rimasti in quattro fino alle quattro del mattino in fabbrica. Abbiamo mangiato, bevuto e lavorato. Ho rifatto l’estintore ed ho cucinato due tortillas. Oggi è un altro giorno, devo spostare la sedia e fare altre cose. A domani.

Capitolo tredicesimo – Giorni 17, 18 e 19 – Esplosioni –

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Sono arrivato al Simposio con tante paure, non conoscendo i materiali mi sentivo svantaggiato rispetto a chi la ceramica la studia o la insegna da una vita. Sono entrato in punta di piedi e grazie al mio modo di fare mi sono integrato in un gruppo che ha moltissime differenze culturali dalle mie. Differenze che possono essere accettate ma difficilmente comprese.
Ho lavorato al mio progetto e realizzato i miei pezzi.
Con una tempistica perfetta sono riuscito a modellare otto grandi oggetti e sei altorilievi alternandoli a birre, passeggiate e mangiate pesanti.
Ho così infornato quasi tutta la mia avventura a Gmunden in tre giorni differenti. I tre giorni trascorsi, quelli in cui sono mancato dal blog.
Per tre volte i miei lavori sono andati distrutti, affondati dalle esplosioni dei pezzi dei miei compagni di viaggio. Ci son rimasto male, anzi malissimo. Mi sono interrogato sul da farsi e su come. Ho pensato al gruppo e a Giorgio di Palma, a quello che mostrerò alla presentazione finale, vicina ormai pochi giorni. Davanti a una tazza di tè ho rivissuto le mie esperienze a Neumuster e Vizzini. Ho ricordato i miei lavori, le miei installazioni e soprattutto gli sguardi di chi ha condiviso con me quelle esperienze. Nei loro occhi ho lasciato sempre un ricordo e un messaggio più duraturo di qualsiasi ceramica cotta a qualsiasi temperatura. Per questo quando ho visto gli sguardi dispiaciuti dei miei amici ho perdonato e dimenticato tutto. Mi sono rialzato più forte e più convinto dei miei mezzi. Ho riaggiornato il blog e ripreso la ceramica. Il mio percorso ricomincia da qui. Con poco tempo a disposizione e con la consapevolezza di conoscere veramente la materia con cui lavoro. Perché senza averlo mai fatto, so come lavorare e cuocere questa argilla. Si riparte.

Capitolo dodicesimo – Giorno 16 – Con calma

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La mia produzione continua in maniera lenta e inesorabile. Un pezzo al giorno, alternando altorilievi a oggetti. Mischio argille, ascolto musica, lascio i pezzi nella camera di asciugatura, mangio pane e formaggio, accendo il forno, bevo tisane e aspetto nuove ispirazioni. Sto vivendo questa esperienza a Gmunden senza affanni, senza attendere il grande finale. Ho per la prima volta la possibilità di conoscere tecniche e piccoli segreti che fino a ieri ammiravo osservando i pezzi di quanti si confrontano quotidianamente con argille di questo tipo. Potrei cuocere in forni grandi come box auto e utilizzare innumerevoli sacchetti di argilla, ma procedo con calma. Ho trovato nella fabbrica un materasso gonfiabile di enormi dimensioni, dove vi trascorro ore pensando a cosa scrivere, ascoltando “Cara” di Lucio Dalla e sbrodolando il cuscino.
Sono abituato a lavorare il giusto, ad accendere il forno quando è pieno e a non sprecare argilla. Ecco perché anche se a volte mi sento lento, sono felicemente me stesso.
Il secondo oggetto che ho realizzato è una scopa. L’ho trovata appoggiata fuori un negozietto, vicino all’erboristeria, dietro l’hotel. Non l’ho rubata ma l’ho fotografata. Per la realizzazione ho utilizzato argilla bianca refrattaria, poi ingobbiata e cotta a 1200 gradi. Purtroppo l’effetto non mi ha ancora convinto e penso di riprovare a una temperatura superiore. Vi aggiornerò con calma, domani.

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Capitolo undicesimo – Giorno 15 – Pigiama di pile

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La scelta di portare il pigiama di pile non è stata delle migliori. Ho trascorso la notte spogliandomi e rivestendomi, abbracciando vecchi incubi e tenendoli stretti sul mio cuscino.
Cerco di esorcizzare le mie paure, quelle di sempre, nascondendomi dietro un cappello verde e affidando la mia difesa a un esercito d’animali d’argilla. Quella degli altorilievi è la mia produzione più intima, che realizzo quando sono da solo, quando ne ho bisogno. Per questo non la svendo, preferisco che le opere siano con me, a farmi compagnia, a difendermi. Qui a Gmunden realizzerò oggetti e altorilievi che caratterizzano questo mio percorso. Se non avete letto il progetto potrete farlo cliccando qui.
Ho così cercato vecchi ferri e tavole, insegne e tutto quanto possa ospitare i miei soliti personaggi. Mi sono immerso nei cassoni dei rifiuti industriali della fabbrica e tirato fuori un po’ di materiale. Sono poi risalito in studio, ho inserito le cuffie e affidato a “Hero” dei Family of the day la colonna sonora di “Can you pass me the cheese?”, primo altorilievo realizzato a Gmunden.
L’ho modellato con l’argilla rosa, bellissima perché cambia colore in base alla temperatura di cottura passando da viola a rosa, lilla, grigio e giallo.
P.s. La foto è stata fatta dagli organizzatori. Qui ce ne sono altre.

Capitolo decimo – Giorni 13 e 14 – Tonnellate d’argilla

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Cerco di ritagliarmi uno spazio per aggiornare il blog, impegnato nello smaltimento di quattro tonnellate d’argilla e ottanta litri di birra. Sto vivendo giornate intensissime: il lavoro si confonde con il divertimento, la colazione con il pranzo, le uscite pomeridiane si prolungano sino al mattino e il pranzo diventa cena. Mi rimangono cinque ore per dormire e quaranta minuti per passeggiare fino alla fabbrica. E nella Gmundner Keramik che ho preso il primo oggetto della serie che caratterizzerà questa mia residenza. E’ un estintore, realizzato utilizzando due tipi di argilla diversa: terraglia forte e argilla nera. Hanno ritiri e temperature di cottura differenti, questo potrebbe determinare rottura e conseguente abbandono del pezzo nel bidone dei rifiuti.
Ma sono qui, ho a disposizione quaranta tonnellate d’argilla e del tempo per sperare.

Capitolo nono – Giorni 11 e 12 – Test sui colori-

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E’ da un paio di giorni che abbiamo iniziato a lavorare seriamente. C’è chi in poco tempo ha già realizzato dei pezzi, chi sta testando e chi inizia a entrare in contatto con la materia. L’esperienza in Germania mi ha permesso di scoprire delle terre bellissime che questa volta spero di conoscere meglio soprattutto durante la smaltatura e la colorazione, fasi che contraddistinguono i miei lavori e che ad alta temperatura mi spaventano particolarmente. Dovrei iniziare i test sui colori, ma odio provare aspettando risposte che non so mai se mi convinceranno. Mi sono creato degli ingobbi colorati e li ho applicati su dei matitoni giganti che ho realizzato. Ho segnato tutto su un foglio di carta e infornato a 1100 gradi. Questo è il risultato del mio test sui colori ma devo aspettare l’esito della seconda cottura per giudicarne intensità e lucentezza. Vedremo.

Capitolo ottavo – Giorni 9 e 10 – I partecipanti

Condividerò questa esperienza con nove artisti provenienti da diverse parti del mondo. Per questo, prima di iniziare, mi piacerebbe presentare il gruppo. Ognuno ha uno proprio stile, un proprio modo di lavorare e un approccio differente alla materia. Le foto che troverete di seguito sono state scattate da Eva, una delle organizzatrici del Keramik symposium di Gmunden. Potete seguire la pagina facebook cliccando qui.

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Eva Pelechová

Età: 31
Provenienza: Repubblica Ceca.
Note: Sa camminare come la bimba dell’esorcista e dice sempre tiriri e tarara.
Lavora al negativo. Realizza delle grandi forme di gesso utilizzando gli scarti di altri stampi nei quai fa delle colate di porcellana liquida.

Andreas Vormayr
Età: 29
Provenienza: Austria
Note: Possiede un fucile ad aria compressa ad altissima precisione e ascolta sempre tecno ad alto volume.
Sta realizzando monoliti d’argilla bianca alti più di due metri dove sottrae o aggiunge materia.

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Eva Roucka
Età: 64
Provenienza: Repubblica Ceca
Note: Viaggia sempre con un cane pelosissimo nero e si sposta su un monopattino.
Realizza grandi sculture cotte ad alta temperatura, utilizzando differenti tipi di argilla, smalti e ossidi.

Kim Sangwoo
Età: 34
Provenienza: Svizzera
Note: Kim non è il nome ma il cognome. Lava sempre i denti prima di iniziare a lavorare per essere pulito nella creazione.
E’ alla continua ricerca della forma perfetta. Le sue opere sono grandissime e tecnicamente curate in ogni fase della realizzazione.

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Giovanni Ruggiero
Età: 44
Provenienza: Italia
Note: Cucina da Dio, fa spesso footing e fuma il sigaro toscano.
Lavora non solo la ceramica ma tantissimi materiali. Cerca di superarsi nella realizzazione di lastre sempre più grandi e sottili su cui applica o sottrare argilla per “disegnare” mondi da scoprire.

Heidrun Weiler
Età: 40
Provenienza: Austria
Note:  Ha una bambina piccola e insieme al marito vivono vicino Gmunden
Sta realizzando una serie di sassi in ceramica cotti ad alta temperatura che saranno tutti ospitati all’interno di un altro grande sasso cotto a bassa temperatura. Con il tempo il grande sasso si romperà e lascerà spazio a tutti gli altri.

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Anna Dorothea Klug
Età: 31
Provenienza: Germania
Note: E’ accompagnata da Nico, il suo ragazzo-pittore, e dalla piccola figlia Oda. E’ fissata per le presentazioni e si spaventa facilmente.
Le sue sono sculture misteriosamente affascinanti realizzate in grandi dimensioni utilizzando diverse argille e ingobbi, cotte a differenti temperature.

Janos Fischer
Età: 61
Provenienza: Germania
Note: Sempre rilassatissimo, indossa spesso pantaloni larghi e bretelle.
Ha lavorato con differenti materiali ma mai con la ceramica. Per la prima volta si sta confrontando con questo materiale realizzando sculture partendo da monoblocchi d’argilla.

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Sofie Norsteng
Età: 34
Provenienza: Norvegia
Note: Non mangia carne rossa, fuma tabacco senza filtri ed ha una grandissima vitalità.
Sta realizzando opere informi, con argille diverse cotte ad altissima temperatura.

E infine ci sono io, Giorgio di Palma
Età: 34
Provenienza: Grottaglie, Italia
Note: A Gmunden ho bevuto tre litri di zuppa in un solo giorno

 

Capitolo settimo – Giorno 8 – Il progetto

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Aggiorno il blog seduto su una panchina che si affaccia sul fiume.
Il rumore dell’acqua scandisce il tempo, le piccole case sono disposte in maniera ordinata e assumo la consapevolezza di trovarmi in uno dei posti dove ho sempre sognato di vivere. La tranquillità di questa cittadina e la ciclicità delle sue abitudini sono qualcosa che mi attrae ma che al tempo stesso mi spaventa.
Cambio spesso la strada che mi permette di raggiungere la Gmundener Keramik.  Costeggio il lago e il cimitero o taglio per stradine fatte di piccole case colorate e semplici negozietti.
Nella fabbrica la musica dei Beirut è sovrastata dal suono di piatti che si accatastano, di aria compressa che spara regolare e di frullatori giganti che mescolano smalti.
Raggiungere la mia postazione significa attraversare un mondo di operai che ripetono per ore, ogni giorno, da una vita, movimenti che gli permettono di ottenere medesimi risultati.
Li osservo confondersi nel grigio e nel bianco di un labirinto a tre piani fatto di forme e stampi sempre identici.
Nessuno parla inglese e ci scambiamo spesso un sorriso o un gradevole Guten Morgen.
Penso a questa gente, a cosa si provi a vivere una vita fatta di ripetizioni in una cittadina assolutamente perfetta. Cosa significhi per loro evadere e quanto bisogno abbiano di cambiare. Penso a me, a quanto mi soffochi l’idea del non cercare, dello stare fermo in un posto fino a sprofondarci.
Ed è proprio adesso, mentre sono fermo su una panchina da un’ora, mentre un uccellino dall’alto caca il mio nuovo macbook che decido il mio nuovo progetto.
Potrei fare tantissimo qui a Gmunden, ne ho i mezzi e forse anche le capacità. Potrei giocare a fare il gigante e lo scienziato, ma non sarei me stesso.
Io sarò quello che mi offrirà Gmunden, per i prossimi dieci giorni, durante il cammino che mi condurrà alla fabbrica e nei piccoli gesti che caratterizzeranno le mie giornate.
Nell’ordine, nella pulizia assoluta cercherò qualcosa di futile o magari fuori dall’ordinario da creare in ceramica. Ogni giorno, durante i cinque chilometri che mi porteranno alla fabbrica raccoglierò un oggetto da riprodurre e poi ricollocare per strada, nello stesso posto dove lo avrò raccolto.
Per i prossimi giorni nei piccoli gesti e nelle abitudini troveranno spazio i miei personaggi, a volte insicuri, a volte melanconici, a volte buffi.
Questa sarà la storia di un percorso. Un percorso lungo 10 giorni e 50 chilometri. Un percorso che non vuole cambiare o modificare la storia, ma solo e semplicemente raccontarla.

Capitolo sesto – Giorni 6 e 7 – Gmunden

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Prima della mia partenza ho cercato informazioni su Gmunden. Grazie alle immagini di google mi ero creato un’immagine virtuale di quello che questa piccola cittadina austriaca mi avrebbe regalato: un lago, un edificio che sembra galleggiare, un fiume, tante montagne e tanti tram rosso/bianco. Wikipedia poi ha aggiunto che Gmunden conta circa quindicimila abitanti, che ha dato i natali a Conchita Wurst (cliccate qui) e che è la più piccola città al mondo fornita di un servizio di tram. Ecco svelato il motivo delle ricorrenti foto dei questi mezzi rosso/bianco.
E’ trascorsa una settimana dal mio arrivo e posso dire di aver visto tutto quello che mi ero prefigurato. Tutto tranne Conchta Wurst e l’edificio galleggiante. Aprendo la mattina la finestra ho una magnifica vista su lago e sulle montagne; per raggiungere la fabbrica allungo di kilometri e ore pur di attraversare il lago, costeggiare il limpidissimo fiume e perdermi silenzio di una natura incredibilmente verde. E’ uno dei pochi posti in cui mi è capitato spesso di staccare gli occhi dal cellulare per osservare e vedere quello che mi circonda. Disattivando il roaming ho scoperto qualcosa di veramente attraente in questa cittadina. Un qualcosa che vorrei comprendere e che sarà la base del mio prossimo progetto. Un progetto a cui dovrò lavorare da domani.

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Capitolo quinto – giorno 5 – Lo spazio di lavoro

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Possiamo iniziare. Io e gli altri ospiti lavoreremo insieme in un immenso stanzone pieno di luce dove ognuno avrà spazio per realizzare i propri lavori. Avremo una scrivania con un piano di granito, un essiccatoio, tantissima argilla e tanti colori. Ci sono spogliatoi e armadietti, una spianatrice per fare le lastre e due forni elettrici per cuocere ad alta temperatura. Tutte le altre cose le prenderemo nel resto della fabbrica.
Non ci sono smalti e nemmeno ingobbi.
Dovrò realizzarli, quindi dovrò cominciare a fare dei test, cosa che ho sempre odiato. Purtroppo, come al mio solito, ho dimenticato in studio tutti i piccoli attrezzi da lavoro, stecche e tutto il resto che non so come si chiama.
Saremo assistiti di Hans Fischer, un tipo in gamba, un intelligente ceramista (o artista) che ha vissuto per un periodo in Italia. Potete guardare il suo sito aggiornato l’ultima volta nel 1998 cliccando qui.
Tornando al lavoro, oggi, mentre gli altri hanno iniziato a produrre, più per imbarazzo che per altro ho preferito organizzare il mio spazio e andare in un ipermercato a comprare qualcosa. Vi consiglio di non acquistare mai i bicchieri di plastica in Austria, sono tanto rari quanto costosi. Ho girato un ora per pagare quattro euro venticinque bicchieri. Salute.

Capitolo quarto – Giorno 4 – La fabbrica

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Vi presento la Gmunder Keramik, ovvero la più grande fabbrica di ceramica d’Europa. Qui ci lavorano circa centotrenta operai e si producono annualmente settecentomila pezzi, tra piatti e altre stoviglierie. Si lavora un solo tipo di argilla bianca cotta a 1060 grandi, poi smaltata, decorata e ricotta. Quasi tutti i processi sono meccanici, ci sono presse, trafile ad aria compressa, macchinari che smaltano e macchine che asciugano. La decorazione è fatta a mano, ma in maniera velocissima. Ci sono poi forni grandissimi e un intero settore per il controllo qualità. Ogni oggetto è accuratamente revisionato e anche per un minuscolo difetto scartato. Per questa ragione il prezzo al pubblico di un piatto è dieci volte superiore rispetto a quello grottagliese.
L’azienda è uno degli sponsor e organizzatori del simposio. Ci offrirà spazi, metterà a disposizione macchinari e tutto quello di cui avremo bisogno durante questo mese. Un altro sponsor ha fornito sei tonnellate di argilla. Sei tonnellate, avete letto bene. Potremo utilizzare argilla bianca, rossa o nera. Quasi tutte refrattarie, tutte che cuociono ad alta o altissima temperatura. Ci risiamo. Come tre anni fa a Neumunster.

Capitolo terzo – Giorno 3 – La presentazione

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E così, alle ore 19.00 presso Museumplatz, c’è la stata la presentazione dei partecipanti al Keramik symposium di Gmunden del 2015.
Saremo in tutto dieci persone di differente età e provenienza. Ognuno con un proprio stile ed un approccio diverso alla materia. Qualcuno anche accompagnato da bambini e cani. Ad introdurci al pubblico è stato il sindaco che, in abiti tradizionali, ha parlato in tedesco per una decina di minuti. Poi c’era la traduttrice e tutti gli organizzatori dell’evento. C’era anche un gruppo musicale invitato apposta. Sono sempre un po’ imbarazzato da queste grandi accoglienze tipiche dei paesi nordici, ma tutto sommato, vedendo le foto, non lo sembro tantissimo. Dopo le presentazioni ufficiali abbiamo mangiato, bevuto, rimangiato e ribevuto. Poi siamo andati in hotel. Al keramik hotel di Gmunden ognuno di noi avrà la sua camera durante la residenza. Io ho la stanza n. 20, secondo piano, letto matrimoniale e vista sul lago. E’ andata benone, diciamoci la verità. Se volete altre foto cliccate qui.
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Capitolo secondo – Giorno 2 – Il viaggio

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Raggiungere Gmunden è stato semplice e interminabile. In poche ore sono passato dalla macchina all’aereo e dall’aereo al treno passando per un furgone. Se vorreste raggiungermi la via più semplice da seguire è la seguente:
1) Grottaglie-Brindisi,
2) Brindisi-Roma,
3) Roma-Vienna,
4) Vienna aeroporto-Vienna Mitte,
5) Vienna Mitte- Vienna Westbahnof,
6) Vienna Westbahnof- Attnang Puchheim,
7) Attnang Puchheim- Gmunden.
Premesso questo potrei dedicare alcune righe all’Alitalia, o alle ferrovie austriache o ancora alla pulizia dei bagni aereportuali viennesi, ma non ne ho voglia. Vi parlerò della tratta Vienna Westbahnof- Attnang Puchheim.
Pochi giorni prima della partenza avevo pensato di dedicare questo mio progetto alle migrazioni. Sono italiano, ho un legame particolare con Budapest e stavo per trascorrere un mese in Austria. Perfetto, avrei raccontato attraverso la ceramica le storie di quanti, in questo periodo, partono da Siria, Afganistan, Somalia o Iraq  per cercare un futuro migliore in Europa. Ho pensato di tornare a Budapest e partire con i migranti verso la Germania, ascoltare le loro storie e trasformarle in oggetti o bassorilievi. Ne ero convinto. Poi sono arrivato a Vienna e mentre aspettavo il treno per Attnang Puchheim (tappa n. 6) sono passati davanti a me una cinquantina di profughi (donne, uomini, bambini) tartassati da flash e scortati dalla polizia. Sono stati fatti salire sul mio stesso treno ed isolati su due vagoni.
Ho pensato che la fortuna mi avesse baciato e che quello sarebbe stato il momento giusto per raccogliere le informazioni che cercavo. Avrei trascorso due ore con loro, mi sarei fatto regalare da tutti un oggetto e lo avrei riprodotto in ceramica. Ho così preso i bagagli e mi sono avvicinato ai loro vagoni, gli unici stracolmi in un treno quasi vuoto.
Li ho attraversati nell’indifferenza totale fino a quando un ragazzo mi ha fermato ed invitato a sedermi. Mi ha ceduto il suo posto e così ho trascorso il mio viaggio Vienna Westbahnof- Attnang Puchheim in compagnia di Alì e altri ragazzi che non ricordo il nome. Erano miei coetanei, uno era laureato, uno era ex militare, a uno li puzzavano i piedi e un altro riprendeva con il cellulare il verde della campagna austriaca. Mi hanno detto che erano iracheni, al contrario della maggioranza che erano siriani. Si stavano dirigendo a Monaco per poi decidere cosa fare.  Si erano conosciuti pochi minuti prima. Tutti avevano pochi vestiti, un po’ di soldi e tantissimo da raccontare. Erano partiti dall’Iraq, avevano attraversato la Turchia e poi si erano imbarcati su un barcone per la Grecia. Avevano rischiato la vita per raggiungere la Macedonia. Al confine tra la Macedonia e la Serbia c’era una fila di circa 20000 profughi che attendeva di entrare. Poi sono andati in Serbia e dalla Serbia in Ungheria. L’entrata in Ungheria è costata ad ognuno di loro circa 1200 euro e che a Budapest la situazione è disastrosa. Fortunatamente sono poi riusciti ad arrivare in Austria da dove avrebbero potuto raggiungere la Germania. Durante il viaggio mi hanno offerto cibo, caffè e sigarette macedoni. Sono stato benissimo con loro e ho spiegato cosa avrei voluto fare. Hanno preso una busta e iniziato a raccogliere alcune piccole cose: un bracciale, un paio di calzini (penso del ragazzo a cui puzzavano i piedi), un paio di fiorini ed una foto.
Poi ci siamo fermati in una stazione di una grande cittadina dove siamo stati assaliti da un gruppo di volontari in giacche fluorescenti che carichi di buone intenzioni ci hanno caricato lanciandoci addosso buste con banane, panini e cioccolatini. Non potevano mancare flash e fotografi.
A quel punto mi sono sentito stranito. Mi sono chiesto cosa significhi aiuto. Mi sono chiesto se fosse stato giusto chiedergli una foto o un oggetto. Mi sono chiesto se effettivamente li avrei aiutati. Ho capito che loro vogliono solo fuggire da una situazione un po’ più di merda della nostra. E lo fanno rischiando la vita. Non hanno bisogno né della mia compassione né del mio portafogli. Figuriamoci di banane, flash e progetti di Giorgio di Palma. Ho così deciso che non gli avrei chiesto niente. Ho lasciato la busta, ho preso i miei bagagli, ci siamo abbracciati e poi salutati.  Uno mi ha detto “God Bless you!”.
Ho lasciato i vagoni stracolmi e mi sono diretto verso il resto del treno vuoto. Ho così raggiunto Attnang Puchheim e poi Gmunden. Sono arrivato. Non ho più un idea per la mia residenza e stasera ho la presentazione. A domani…

Capitolo Primo – Giorno 1 – La partenza

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Sono rimasto parcheggiato per mesi al sole, con il cofano stracolmo di birre, la carrozzeria ammaccata e il carburatore intasato da pizze e patatine fritte.
Poi una spinta mi ha rimesso in moto, lanciato sul volo AZ 1620 e trasportato in Austria.
Ora, mentre sono nella Westbahnhof di Vienna, in attesa del treno che mi condurrà a Gmunden, mi preparo per una nuova avventura targata 29 giorni.
A farmi compagnia poche canzoni trasmesse in loop, un bagaglio preparato alla rinfusa, un vecchio sketchbook e un nuovo macbook, una vecchia macchina fotografica e la mia foto più recente.
Tutto il necessario per partecipare al Keramiksymposium (cliccate qui) e tornare a raccontare qualcosa di non ancora collaudato, da poter condividere a puntate e suddividere in capitoli.
Per più di un mese mi troverete qui, a questo indirizzo virtuale, tra pezzi d’argilla e righe sgrammaticate.
Willkommen

Capitolo diciassettesimo – Giorno 29 – Il ritorno –

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Sono rientrato a Grottaglie da un paio di giorni, a farmi compagnia 56 paste di mandorla e 38 gradi di febbre. Ho salutato gli artisti, le istituzioni, gli organizzatori e Vizzini. La mattina della partenza ho passeggiato tra i suoi palazzi, salendo e scendendo per le colline  e perdendomi tra vicoletti dimenticati. Ho pensato a quello che ho fatto, alle mie installazioni, a quello che ho raccontato e quanto trasmesso. Ero contento ma non soddisfatto. Quando sono arrivato in questa città sono rimasto colpito dal numero di edifici abbandonati, dal potenziale umano e storico di un comune che da venticinquemila è passato a seimila abitanti. Ho deciso di lavorare ad un progetto sul tempo, raccontando come questo agisca sulle persone e sui luoghi. Le mie installazioni, seppur valide, mancavano di qualcosa. Un qualcosa che ho realizzato di nascosto, senza il supporto di chi avrebbe dovuto sostenermi. Ho fatto dei cartelli vendesi e li ho attaccati in giro per la città. Sono installazioni fuori mappa che fino ad oggi non sapevo se pubblicare o meno. Non volevo che il mio messaggio venisse strumentalizzato politicamente o addirittura frainteso.
Poi ho riletto quanto scritto dagli amici di Vizzini e da chi vive lontano da questa cittadina. La loro gratitudine mi ha fatto da stimolo per postare le ultime foto e gli ultimi perchè.
A pochi giorni dalla messa in loco tre delle sei installazioni realizzate sono andate perdute. Il pallone è stato distrutto (leggi qui), le sigarette rubate e la coppa di Leone è sparita. Forse la gente non sapeva e sarà rimasta sorpresa vedendo frantumarsi e non rimbalzare una palla. Forse avrà avuto lo stesso stupore con le sigarette  e coi wurstel.
Io so che ho cercato di interagire con quanta più gente possibile per far capire che quelle opere non sono mie, ma della comunità. Insieme abbiamo provato a vestire con qualcosa di nuovo, di recente ed attuale dei contesti che il tempo rischia di spogliare.
Purtroppo il vuoto lasciato dalle opere mancanti mi spaventa quanto quello dei palazzi abbandonati.
Sono convinto che ci sia qualcuno oggi a Vizzini che cerca tra innumerevoli cartelli vendesi quelli realizzati in ceramica. Sono convinto che qualcuno oggi a Vizzini riesce a vedere oltre quei cartelli, affascinato da posti incantevoli che attendono di essere rivissuti.
E’ per loro che ho fatto tutto questo, anzi, è con loro che abbiamo fatto tutto questo, per Vizzini.
vendesi2webgiorgiodipalmaArticolo ripreso dalla Sicilia.

Capitolo sedicesimo – Giorni 27 e 28 – La presentazione e la festa –

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E’ arrivato il momento della presentazione delle installazioni alla Comunità. Nell’aula consiliare ci sono stati quelli che avrei voluto che ci fossero, ovvero quanti hanno reso possibile la riuscita del progetto. E’ intervenuto il Vicesindaco e poi Marilisa Spironello, la mia referente culturale. Lei ha introdotto il progetto in maniera esemplare, cogliendo il senso dei lavori e dando risposta a tutti quei “Si, ma perchè?” e “Ma sono per la sagra?” che mi hanno accompagnato in questi giorni. Marilisa ha saputo chi e come ringraziare; lo ha fatto meglio di me che, come al solito, durante il mio intervento sono entrato in un giro vorticoso di frasi senza alcun senso. Dopo il disagio oratorio sono stato omaggiato con un libro dal Comune e un diploma da Lisa. In qualche modo è come se avessi ricevuto le chiavi della città.
Poi tutti insieme abbiamo visitato il nuovo ufficio di arte contemporanea e fatto una passeggiata tra le opere. Poi pranzo alla Cunziria e festa.
Avete capito bene. Il centro giovanile mi ha organizzato una festa SERISSIMA. C’erano cartelli di ringraziamento ovunque, focacce, un dj, Dario che ballava, bibite, Antonella che mangiava patatine, regalini e tutti i miei amici. Vi potrei postare centinaia di foto della festa ma mi limiterò a due. Una è quella con Franchina e l’altra è quella di gruppo. A Franchina lo devo perchè è andata dal parrucchiere per l’occasione e al gruppo invece devo tanto. Negli scorsi post vi ho parlato di loro come una squadra ma forse sarebbe meglio definirla, come fa Giusy, la Famiglia Arcobaleno. Ho ricevuto un ultima lettera in cui ogni membro della famiglia è descritto con un colore e a me è stato riservato il Blu Cobalto.
Loro non mi hanno consegnato le chiavi della città ma quelle del loro cuore. Queste mi hanno permesso di entrare nel loro mondo, un mondo fatto di gioie e difficoltà, dove i problemi possono essere piccoli o serissimi ma si affrontano insieme. Nella famiglia Arcobaleno ognuno viene accettato così com’è, ed io sono onorato di essere uno di loro. Mi sono sentito a casa e con quella chiave so che potrò tornarci quando vorrò.
A loro lascio una parte di me, non solo delle mie ceramiche. Grazie.
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Capitolo quindicesimo – Giorni 25 e 26 – Sweet time –

gelati1webDurante il mio primo giorno trascorso in strada ho consumato un sacco di energie e conosciuto moltissime altre persone. Ho vissuto sentimenti contrastanti e visto reazioni differenti. Oggi, dopo che si era sparsa la voce in città la gente è risultata ancora più incuriosita. Alcuni mi chiedevano  “Si ma perchè?” e tantissimi “Ma li monti per la sagra?”. C’era poi chi mi chiedeva di aggiustare la facciata anzichè “appiccicare sti porcherie” e chi voleva per forza che i coni gelato si illuminassero. Ho visto poi persone entusiaste che non sapevano come ringraziarmi invitandomi a bere e mangiare qualcosa. Alla fine ho bevuto circa 12 caffè e firmato il mio primo autografo, nonostante mi sia opposto con tutte le mie forze. Ora ho finito, manca solo la presentazione ufficiale. Nelle foto i coni gelato, sulla facciata di una casa abbandonata, i wurstel, omaggio a leone il cane di città, e le carte da gioco, nella via dei circoli.

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